Commento al Bilancio Sociale 2014 -L'accoglienza del povero è l’alba di una nuova umanità - CARITAS TARVISINA

Commento al Bilancio Sociale 2014 -L’accoglienza del povero è l’alba di una nuova umanità

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Premessa

L’icona che accompagna il bilancio di quest’anno è la parabola del Buon Samaritano. Nell’uomo che cammina verso Gerico vediamo ciascuno di noi nella via della vita, leggiamo il nostro nome, come quello di ogni uomo che viene nel mondo, con la sua storia piccola e unica; ma altresì leggiamo la grande storia dell’umanità intera, il suo faticoso cammino fatto di luci e di ombre, sequenza di attese e delusioni, conquiste e sconfitte, promettenti aperture e amari ripiegamenti.

Alcuni inviti

Siamo invitati ad entrare ed abitare le periferie esistenziali dell’umanità di oggi: i luoghi in cui “c’è sofferenza, c’è sangue versato, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”; sono i luoghi abitati “da tutti coloro che sono segnati da povertà fisica e intellettuale”; dove “Dio non c’è”; sono “le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”.

La vera necessità è la decisione della prossimità verso l’altro, non importa chi lui o lei sia; non dobbiamo avvicinarci all’altro perché è nel bisogno, ma l’altro deve essere reso prossimo in quanto uomo o donna, fratello o sorella in umanità. Nell’incontro poi conosceremo il suo eventuale bisogno.

a) Una chiesa in uscita

Il primo passo da compiere è cercare di essere “una chiesa in uscita” (cf. Evangelii gaudium 20-24), in modo da lasciare Cristo al centro e da annunciare il Vangelo a tutti, in tutte le situazioni, senza repulsioni e senza paure. Troppo spesso negli ultimi decenni abbiamo dato l’immagine di una chiesa che, come la chiesa nei giorni successivi al fallimento umano del suo profeta e rabbi, appare una comunità che ha paura del mondo, e perciò è rinchiusa (cf. Gv 20,19), tesa a conservare la memoria piuttosto che a sentirla come una buona notizia.

 

b) Una chiesa capace di prossimità

Oggi più che mai siamo immersi in una cultura nella quale è dominante la comunicazione virtuale. “Siamo sempre connessi”, e dunque ci sentiamo sempre in relazione, anzi oberati da troppe relazioni, al punto che non riusciamo a viverle adeguatamente e con il discernimento necessario, eppure sono gli stessi sociologi che ci mettono in guardia e denunciano “la morte del prossimo”. La prossimità è essenziale all’evangelizzazione e quindi alla servizio, alla carità. Occorre decidere di farsi prossimo, di incontrare l’altro, superando precomprensioni, pregiudizi, fatiche e diffidenze.

 
c) Una chiesa povera

Per questo dobbiamo mettere innanzitutto in rilievo il tema della povertà: una chiesa può essere per i poveri e agire per i poveri solo se è lei stessa povera; e il cristiano, il discepolo, quale soggetto che si indirizza ai poveri, deve lui pure essere povero. Ciò che è urgente per la chiesa e per la Caritas non è in primo luogo aggiungere azioni, quanto piuttosto assumere la povertà come stile. È una sfida enorme!

 

 
d) Una chiesa umile

Altra caratteristica dello stile della chiesa e del cristiano nell’azione caritativa è certamente l’umiltà. Essa permette di raggiungere uomini e donne per i quali non avviene il discernimento e il riconoscimento, se non da parte di chi si sente umile come loro, bisognoso come loro della misericordia di Dio. Oggi possiamo essere tentati, soprattutto di fronte a una cultura dominante non più cristiana, di perseguire forme di presenza forti e aggressive, che ci fanno assumere toni arroganti e ci inducono ad atteggiarci come profeti di sventura.

 

Riflessioni conclusive

Dinanzi al povero, al sofferente, ad ogni tragedia umana siamo invitati a lasciare risuonare questi interrogativi: “Chi è responsabile del dolore di questi fratelli e queste sorelle in umanità? Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna… la cultura del benessere ci rende insensibili alle grida altrui!”. Siamo diventati insensibili perché non vediamo l’essere umano che c’è dietro ogni vita spezzata, mentre bisognerebbe conoscere ciascuno di loro: il suo volto, le sue sofferenze, le angosce e le speranze. E invece no: solo numeri, che hanno peso solo se sono alti. Tutti loro sono numeri che infastidiscono altri numeri, quelli delle statistiche del nostro benessere. È il momento di dire basta a queste logiche perverse !

Sì, bisognerebbe davvero cambiare l’approccio ai poveri, ma come farlo in un clima sociale e culturale che si è via via imbarbarito in questi ultimi venticinque anni? Abbiamo lasciato che il veleno dell’odio e dell’indifferenza verso l’altro inquinasse le falde dei nostri pozzi: uomini delle istituzioni che adottano il linguaggio delle bettole o delle promozioni televisive, personaggi pubblici che si vantano di “dire quello che pensano” senza minimamente pensare a quello che dicono e alle conseguenze che provocano, abitanti di terre e regioni che un tempo si vantavano di essere le più cattoliche svelano atteggiamenti di intolleranza antievangelica in misura più marcata di ogni altra zona. Dobbiamo levare con forza il nostro “basta” con una testimonianza coerente e credibile. Non possiamo rimanere impantanati nelle paludi delle paure e dei rimpianti. È necessario rompere il muro di ipocrisia che sta anestetizzando le coscienze. L’ostilità verso l’altro è la notte delle coscienze.

Vediamo espandersi come un contagio in tutta l’Europa questo clima di ostilità verso l’altro, soprattutto se povero, di gretto egoismo tribale, in un continente di cui solo pochi anni fa si decantavano le profonde radici cristiane. Che amarezza constatare che tra la “nostra gente” molti, ormai dimentichi del loro passato, della loro antica miseria, della loro fuga verso terre dove c’era speranza di pane, hanno bevuto questo veleno della negazione dell’altro, del povero. Ogni giorno vediamo crescere l’odio e l’indifferenza, anche grazie alla propaganda martellante di impresari della paura che accomunano innocenti e criminali con perfida menzogna, la menzogna che vede in ogni povero un attentato alla nostra sicurezza o al nostro benessere.

È importante allora che rimanendo ancorati alla Carità di Cristo, continuiamo ad adoperarci per la costruzione di un mondo migliore dove l’I Care di don Milani ci spalanca il cuore e ci porta a vivere l’autenticità di relazioni fraterne ed appassionate. Questa è la vita ! La vita vera che ci è affidata, che dobbiamo custodire e promuovere con coraggio. Insieme ritroviamo il coraggio di ritrovare la cifra dell’umano, di umanizzare nella sua interezza tutta la nostra vita, secondo il cuore di Cristo Risorto. Abbiamo bisogno di vivere, non possiamo accontentarci di sopravvivere. Abbiamo bisogno di vita, pace, giustizia e vera libertà per ogni uomo. Buon cammino a tutti.


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