La Quaresima insieme: Domenica delle Palme - CARITAS TARVISINA

La Quaresima insieme: Domenica delle Palme

Il dramma che stiamo attraversando in questo tempo ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore” (Papa Francesco)

 

Collegio Stella Maris La Gavia a Madrid [Aletti, 2019]

BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE

Dal Vangelo secondo Marco (11, 1-10)

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo? rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

 

 

RIFLESSIONE

Testo a cura di Papa Francesco

È la giornata delle Palme, il giorno dell’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, momento di festa che precede la morte in croce del Figlio di Dio. La folla non comprende, pensa a Gesù come ad un re che porterà il benessere materiale sconfiggendo l’oppressore che tiranneggia con la forza l’esistenza terrena dell’uomo. Non comprende il significato vero della presenza di Gesù in terra. Non è la ricchezza ed il successo che donano la pace del cuore, ma l’amore di Dio, l’abbraccio tenero del Padre, il conforto nella fatica, la serenità interiore. È questo il trionfo di Cristo, questa è l’entrata regale nella vita dell’uomo, l’Osanna nell’alto dei cieli che sgorga dal cuore di chi ha compreso che solo Cristo può portare la vera salvezza, quella che non tiene conto del benessere materiale, ma che si arricchisce del benessere spirituale. Non solo allora, ai tempi di Gesù, ma anche oggi è molto difficile accogliere questo messaggio, renderlo nostro stile di vita, perché la “ricchezza” sembra sia l’unico vero dio da idolatrare, perché l’“apparenza” è l’icona che definisce il successo della persona. Non importa quanta sofferenza arrechino nelle vite dell’uomo questi obiettivi, non è importante che per raggiungere ricchezza e successo l’uomo sia costretto a gesti e comportamenti inammissibili! Troviamo il coraggio di abbandonare in Dio Padre ogni perplessità, e abbracciamo la vita con la “leggerezza” dell’amore del Risorto: “Che dolce è stare davanti ad un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi!”.

(Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 264)

 

ATTUALIZZAZIONE

In occasione della domenica delle Palme dello scorso anno, Papa Francesco disse: “Il dramma che stiamo attraversando in questo tempo ci spinge a prendere sul serio quel che è serio, a non perderci in cose di poco conto; a riscoprire che la vita non serve se non si serve. Perché la vita si misura sull’amore”. Ascoltiamo la testimonianza di Mauro Brighenti, anestesista all’Ospedale Vittorio Emanuele III di Carate-Brianza e membro del Cuamm.

“Anche se con difficoltà, provo a raccontare qualcosa che stiamo vivendo in questo periodo nel nostro lavoro di operatori sanitari. Il virus è arrivato quasi di soppiatto e ha poi invaso il nostro piccolo ospedale, che ha dovuto accogliere ogni genere di gravità. In poco tempo siamo stati invasi dai pazienti, provenienti anche dalla provincia vicina. Abbiamo cercato di far fronte a tanti problemi clinici e di tipo organizzativo a cui non eravamo preparati. Soprattutto non eravamo preparati a questa realtà di grande dolore. Una situazione nuova per tutti, in cui, chi si reca in ospedale per delle cure, potrebbe non avere più contatto con i propri cari, nemmeno da morto. Ci ha messo in tensione. Ci ha fatto paura. Paura di non essere protetti e di essere noi stessi contagiati. Mentre tutti, attraverso ordinanze e multe, vengono invitati a stare lontani l’uno dall’altro, a non aumentare il contagio, a non uscire di casa, noi invece siamo invitati ad andare nel contagio. In realtà nessuno di noi impegnato nell’assistenza ai malati sta bene. Tutti non dormiamo. Penso che tutti, più o meno, piangiamo. Non riusciamo a dormire perché ci torna alla mente il dolore di una moglie o di un figlio a cui comunichiamo la scomparsa di un caro. Dolore che a volte è disperazione e altre volte diventa accusa nei nostri confronti, colpevoli di non aver fatto tutto quello che si doveva. Così come ci commuove profondamente sentirci ringraziare nonostante la brutta notizia che abbiamo comunicato. Non dormiamo perché la mente corre agli ammalati per i quali non c’è posto in terapia intensiva, alle liste di attesa per poter trasferire i pazienti che stanno peggiorando che non diminuiscono mai. Il pensiero va alle parole che i pazienti dicono ai loro familiari magari con il nostro aiuto, che reggiamo il cellulare prima di perdere il contatto con loro. Ci sono persone che vengono ricoverate, si aggravano e muoiono senza vedere o essere riviste dai loro cari. Ogni volta che un paziente muore, c’è un grandissimo dolore tra tutto il personale che lo assiste. Sono partenze inaspettate e veloci. Non sono solo anziani. Personalmente posso dire che quanto entro in ospedale, dico a me stesso «Speriamo di no…però sono pronto a dare la vita». Perché non so mai se quella manovra, quel contatto, quello stare insieme al malato, sarà la volta che mi infetto. E avendo visto persone morire a causa dell’infezione, mi chiedo «Perché io no? Che cosa ho di diverso?». È un pensiero che abbiamo tutti. Penso che questa epidemia ci abbia un po’ avvicinato ai popoli africani, che conosco un pochino. Questo essere in balia di qualcosa che non dipende da noi. Che può decidere della nostra vita, a cui non c’è rimedio e a cui bisogna sottostare. A noi è capitato questa volta, a milioni di persone capita ogni giorno. Come anche stare vicino a chi muore senza poter far nulla, è un’esperienza che in Africa mi è capitata più volte. Magari anche per patologie che erano curabili, ma non c’erano le condizioni per farlo e quindi si condivideva solo il dolore cercando di alleviarlo un po’. In questo, devo dire, sono stato avvantaggiato. Posso anche raccontare delle tante cose belle che sono successe, delle tante piccole gare di solidarietà. Come ad esempio le mamme del paese che hanno confezionato mascherine di doppio strato di stoffa. Hanno trasformato i parenti in sarti, hanno convinto i negozi a donare le stoffe. Hanno chiesto al sindaco che gli prestasse la macchina con il vigile per poter andare dove non si dovrebbe, a recuperare il materiale. È il loro modo per ringraziare e per incoraggiarci. In ospedale, questa tragedia ha fatto piazza pulita di tante stupidaggini, di tante diffidenze, di tante separazioni e pregiudizi. Abbiamo magari litigato, ci siamo scontrati, ma alla fine abbiamo solo potuto rimetterci insieme e lavorare insieme. Quindi chirurghi, ortopedici, che si sono messi a fare il lavoro degli internisti, a imparare come si valutano i parametri della respirazione. Siamo diventati tutti esperti oramai. In questa situazione di grande dolore che toglie il sonno, quello che mi rimane è la preghiera. A tutti quelli che mi chiedono come sto, io chiedo di pregare. Per me, per tutti, e per tutto questo dolore. La fede ci dice che tutto viene da Dio e anche il dolore è amore di Dio…io riesco ancora a crederlo. E prego.”

 

PREGHIERA

Signore Gesù, apri i nostri occhi,
e rendili sempre capaci di vederti,
per essere fedeli all’alleanza d’amore
che in te il Padre ha concluso con noi.

Signore Gesù, vogliamo vederti,
per riuscire, seppur umilmente, a seguirti,
per essere sempre là dove tu sei,
e salvare la nostra vita con te.

Signore Gesù, vogliamo vederti,
per imparare l’obbedienza al Padre,
per essere chicco di grano pronto a morire
per produrre molti frutti di bene.

(Tonino Lasconi)

 

 


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