La sovranità della verità e della libertà - CARITAS TARVISINA

La sovranità della verità e della libertà

Quando ero bambino, nelle sere d’estate mi capitava spesso di rimanere incantato ad ascoltare i racconti di vita degli anziani che abitavano lungo la mia via. Le storie narrate erano un sano miscuglio di vita reale, di mito e di sogno. Erano però parole che scaldavano il cuore perché veicolavano, senza la minima esitazione, i valori fondamentali della vita e soprattutto il rispetto dell’altro e della sua inviolabile dignità di uomo. Questi momenti li custodisco nel cuore come una delle più importanti pagine di scuola della mia vita. È proprio vero che certe cose non si imparano sui libri, ma solo lasciandosi contagiare da cuori vivi, scolpite dalle gioie e dalle fatiche dell’esistenza.

Oggi in questo inverno, mentre soffia il vento gelido, ho il cuore ghiacciato dalle parole cattive che continuano ad essere proferite e, purtroppo, sostenute da scelte che sono contro l’uomo. Il negare l’aiuto a chi è in difficoltà (dimenticandosi troppo facilmente di essere la causa di quelle sofferenze) non è solamente contro la costituzione, è contro l’uomo, è contro la vita. Non si può tacciare di buonismo tutto ciò che è a difesa della vita e ricerca di promuovere una umanità nuova. È necessaria una inversione di marcia, è necessario trovare il coraggio della profezia per camminare insieme verso una verità che tutti ci precede e supera. Il populismo e il sovranismo sono solo parole ingannatrici e menzognere.

Basta con parole vuote e proclami che sono come un paravento che nasconde il nulla. È il tempo di vivere una disobbedienza “umana”, dell’uomo che non è disposto a barattare la dignità di ogni essere umano per il privilegio di pochi, che non è disposto a scendere a compromessi togliendo futuro e speranza alle nuove generazioni. È il momento di tutti gli uomini e alle donne di buona volontà per dire STOP a questo triste spettacolo di arroganza e superbia messo in scena da chi detiene il potere. Dobbiamo imparare a farci le domande giuste. Siamo proprio convinti che alcuni uomini soli al governo sappiano custodire il bene comune, il bene di e per tutti? Come mai milioni di persone lasciano la loro terra e si muovono verso altri paesi? Come mai cresce la ricchezza nel mondo ed insieme però aumentano anche le ingiustizie? Perché tanto accanimento contro gli immigrati e i diversi? Sono loro la causa di tutti i mali? Perché fare delle leggi contro la costituzione? Se l’ingiustizia diventa legge, non è che la resistenza diventa un dovere per noi? È più importante il consenso elettorale o la pace sociale ed il bene comune?

Per fare un vero cammino verso la verità e non guardare alla storia di oggi solo con la pancia, dobbiamo scendere in profondità, dobbiamo ritrovare noi stessi. Credo sia necessario prendere le distanze da questo palcoscenico scellerato e grottesco, per ridare senso e valore alle parole e al cammino di questa umanità. La parola, come tutte le cose umane, può ammalarsi. Ecco, secondo il filosofo Roberto Mancini, alcune patologie cui va soggetta la parola nel mondo contemporaneo. «La prima patologia è la scissione, che ha luogo quando la parola resta vuota di significato perché è separata dall’azione feconda, è priva di rapporto con ciò che sentiamo e non esprime più il cuore della persona o la realtà di una relazione. In tal caso la parola è apparenza di significato, ma non offre più alla nostra vita spazi abitabili di senso né luoghi di incontro e di comunione». Per Mancini c’è un aspetto ancora più patologico nell’uso della parola e si verifica quando la usiamo nella forma del giudizio sugli altri: «Allora riduciamo la persona a qualcosa di meno di quello che realmente è nella sua profondità, nel suo valore e nel suo mistero». Una terza patologia pretende di fissare la verità come se fosse possibile circoscriverla: «Con questa operazione si cerca di renderla oggetto di possesso, cosicché le parole diventano definizioni che chiudono e non simboli che aprono. L’illusione di possedere la verità dà origine alla parola fanatica e alla presunzione conoscitiva».L’ultima malattia della parola è lo scivolamento nell’insulto e nella violenza che esprimono la fine della relazione e la rottura con l’altro. «Quando la parola è al servizio della violenza non è più parola umana: diventa ordine, comando, aggressione, insulto e si è completamente snaturata. Primo Levi ricorda che il tedesco dei campi di concentramento non era più la lingua di Kant o di Goethe, poiché ormai c’era solo un disumano emettere ordini e insulti».

«È necessario risalire ai dinamismi di fondo legati al cammino educativo, all’umanizzazione delle persone e a quella forza sorgiva e orientatrice di tutte le altre che è l’amore vero. Quando nei processi di umanizzazione al posto dell’amore subentrano i riferimenti al potere inteso come dominio (religioso o politico, economico o tecnologico), allora si crea la dittatura di alcune parole, la supremazia soffocante del pensiero unico e, nell’esperienza quotidiana, di quelle frasi fatte le quali testimoniano che il pensiero ormai si è arrestato».
Per Mancini la parola autentica è libertà, «possibilità di dire sì o no con tutto il proprio essere, di diventare interlocutori di Dio o comunque della verità vivente che ognuno eventualmente arriva a riconoscere. Se invece la parola è inserita in un ordine di potere che blocca la libertà o ne diffida, anche la dittatura linguistica è alle porte». Non si tratta tanto della dittatura della parola, ma di un potere dominativo che si serve della parola. «La parola viene salvata quando si riattivano le dinamiche che umanizzano le persone, perché la vita della parola va di pari passo con la vita delle persone».

Ogni parola vera nasce dal silenzio. Come è possibile recuperare nel nostro contesto occidentale un equilibrato rapporto parola-silenzio? «Anzitutto riconoscendo la vera profondità del modo d’essere di ogni persona. Il silenzio dovrebbe condurci a essere attenti all’anima di ognuno, che non è il contrario del corpo ma la nostra autocoscienza più profonda. Per riequilibrare parola e silenzio bisognerebbe, inoltre, insegnare ai bambini fin da piccoli ad ascoltarsi reciprocamente, a riconoscere le loro sensazioni e i loro sentimenti, a percepire i suoni della natura. Naturalmente prima occorre che ci siano adulti davvero capaci di silenzio, di ascolto, di dialogo, adulti realmente disposti a onorare la responsabilità di educare».


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