Responsabili della pace e della giustizia - CARITAS TARVISINA

Responsabili della pace e della giustizia

 

Seminare pace intorno a noi, è oggi una modalità concreta di vivere la santità e la bellezza della vita. Costruire la pace è saper piangere con gli altri, è farsi carico delle loro sofferenze perché sono le nostre, perché ci “appartengono”.”

Il 20 ed il 27 gennaio abbiamo vissuto le serate di Bilanci di Pace, due occasioni per riflettere sul dono della pace e sulle nostre responsabilità nel custodirla e promuoverla. Nello Scavo, nella prima serata, don Paolo Bizzeti e padre Michel Abboud, ci hanno parlato con il cuore e ci hanno riconsegnato uno sguardo sul futuro carico di speranza e fiducia. Ci hanno raccontato che la pace è possibile e si costruisce, piano piano, nella relazione personale. Questi incontri mi e ci hanno fatto bene e mi hanno suscitato alcune semplici riflessioni.

La pace è un dono straordinario, ma chiede che ciascuno di noi si sappia adoperare per promuoverlo e custodirlo. La guerra, il conflitto tra persone è sempre accovacciato alla porta del nostro cuore. È fondamentale che preghiamo il Signore perché ci sostenga e ci aiuti a promuovere la pace, a fare scelte di vita che siano per la pace. Per la pace è necessario che sappiamo metterci nella prospettiva di pagare un prezzo, non è qualcosa che va dato per scontato, per garantito. Per noi è molto comune essere causa di conflitti o almeno di incomprensioni. Il mondo delle dicerie, fatto da gente che si dedica a criticare e a distruggere, non costruisce la pace.  Dobbiamo riaffermare con forza il No alla guerra, il No alle armi, il No allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani. La pace non è semplicemente assenza di guerra, è offrire a ciascuno la possibilità di vivere nella comunione, nella libertà, nella verità. Oggi è necessario che sempre più diventiamo operatori di pace nel quotidiano, nelle nostre parole e nelle nostre azioni, che troppo spesso sono cariche di violenza, aggressività, volontà di nuocere all’altro. Seminare pace intorno a noi, è oggi una modalità concreta di vivere la santità e la bellezza della vita.

È evidente che le logiche che guidano il mondo abbiano a che fare molto poco con la giustizia e con il rispetto della dignità della vita. Ci sono tantissimi documenti e molti proclami, ma nella concretezza quotidiana la vita è calpestata in ogni angolo della terra. Lo sfruttamento e la schiavitù sono piaghe che da sempre lacerano il cuore e la vita di molte persone. È necessario che abbiamo fame e sete della giustizia e che non confondiamo con carità ciò che spetta a ciascuno per giustizia. Non possiamo, come comunità cristiana e come singoli discepoli, battere in ritirata dinanzi a tutte quelle logiche che devastano la terra, la vita, l’umanità delle persone. L’indifferenza, il girarci dall’altra parte, la logica di Ponzio Pilato sono peccati gravi. Essere chiesa in uscita significa abitare le periferie dell’esistenza umana dove sistematicamente la giustizia è calpestata, significa dire di no a logiche marginalizzanti che inquadrano tutto in giusto e sbagliato. La vita è diversa, la storia ci chiede di ritrovare la capacità di leggere le sfumature. Avere fame e sete della giustizia ci chiede di uscire da una rassegnazione passiva nella quale ci siamo rintanati, significa dare voce a chi non ce l’ha, nella chiara consapevolezza che siamo noi, proprio noi, chiamati ad essere sentinelle di speranza e messaggeri di un mondo nuovo.

Una delle caratteristiche della nostra epoca è la velocità che contrassegna ogni dimensione del nostro vivere. Con troppa facilità saltiamo da uno scenario all’altro, senza darci il giusto tempo e il giusto silenzio per metabolizzare, per lasciarci toccare in profondità. Siamo chiamati a riscoprire la potenza delle parole di Gaudium et spes “condividere le gioie e le speranza, le tristezze e le angosce dell’uomo d’oggi”. Non possiamo rimanere spettatori indifferenti dinanzi al pianto che lacera il cuore di madri, padri, figli … uomini e donne in ogni angolo della terra. Quel pianto, quel dolore non può essere ingabbiato dalla nostra indifferenza, da uno zapping anestetico sui nostri sentimenti. Quelli che sono nel pianto sono nostri fratelli, hanno a che fare con la nostra vita. Non sono degli intrusi, non sono dei “ciabattanti” clandestini da spingere oltre il confine del nostro perbenismo. Nessuno può essere considerato clandestino nei confronti della vita, il resto viene dopo … molto dopo. È necessario che ritroviamo la potenza dell’empatia e della compassione. Costruire la pace è saper piangere con gli altri, è farsi carico delle loro sofferenze perché sono le nostre, perché ci “appartengono”. È importante che riscopriamo il dono delle lacrime, che usciamo da una logica anestetica che ci lascia indifferenti dinanzi ai muri e alla chiusura dei cuori. Il pianto dinanzi alle miserie umane e la bellezza di ogni essere umano ci aiuteranno ad abbandonare l’uomo vecchio che ci abita e che ha come unica prospettiva quella del proprio ombelico. Questo cammino ci donerà la pace del cuore e c renderà costruttori di pace.


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