Ritrovare speranza con i giovani - CARITAS TARVISINA

Ritrovare speranza con i giovani

In quest’ultimo periodo numerose notizie hanno messo in luce una fragilità da parte del mondo degli adolescenti che chiede di essere ascoltata, e non semplicemente soddisfatta. Fenomeni crescenti quali il bullismo, l’aggressività gratuita, la banalizzazione della sessualità, la crescita delle dipendenze, le sfide sempre più pericolose fino ad arrivare al blue whale (balena blue) che istiga al suicidio, sono realtà che ci interpellano come mondo adulto e che ci chiedono di riprendere in mano, in modo significativo, la nostra missione educativa che deve essere sempre traguardata alla vita.

Il disagio del mondo giovanile ci parla. È una povertà che deve scuotere la nostra indifferenza e superficialità perché è parte viva ed integrante del nostro cammino. Spesso i giovani vengono ingabbiati da un’immagine di debolezza e di inconsistenza. Non è vero. Le nuove generazioni, come quelle di tutti i tempi, hanno i loro punti di forza e le loro debolezze. Spetta a noi, con grande pazienza educativa, lasciar emergere il bene che c’è in ciascuno. Si tratta di avere fiducia nei giovani. È una scelta molto concreta, che nella realtà non è così scontata. Noi adulti facciamo fatica a lasciarci mettere in discussione, facciamo fatica a lasciare il passo. Vogliamo mantenere le nostre posizioni di potere e relegare i giovani ad un ruolo subalterno e sovente dove ci fa più comodo. È necessario che cambiamo prospettiva, che sappiamo valorizzare l’esperienza maturata dagli adulti ed anziani, con l’ardire coraggioso dei giovani. Non possiamo continuare a spegnere il coraggio della vita continuando a giustificare la nostra “ottusità” dicendo si è sempre fatto così o sei troppo giovane per capire come vanno le cose. Né possiamo buttare via il patrimonio dell’esperienza, soprattutto degli anziani. Oggi più che mai l’educazione ci impone di scendere in campo, spazzando via ogni ambiguità e compromesso, per lottare decisamente contro la logica dell’indifferenza e dello scarto.

Dinanzi al disagio e alla fragilità del mondo giovanile, non possiamo limitarci a fare la morale, né rifugiarci in una ricerca angosciante di soluzioni e di risposte che ci fabbrichiamo sempre dalla roccaforte del nostro potere e delle nostre ragioni. Prima di tutto questo è necessario restare in relazione con i giovani e soprattutto ascoltarli, ascoltare le loro emozioni, i loro sentimenti, le loro domande. Prima di trovare risposte, è necessario ascoltare le domande vere che abitano il cuore dei nostri giovani. È necessario fare un passo indietro, fermarci e con umiltà andare a scuola dai giovani, da quello che vivono e sperimentano. Dobbiamo uscire dalla logica presuntuosa di sapere tutto o di ridurre ogni realtà alla nostra esperienza che anche se preziosa resta pur sempre “solo” la nostra. Stare in ascolto significa lasciare spazio, significa trovare il coraggio di lasciarsi ferire per amore, di lasciarsi contaminare in una logica dialettica che ci pone tutto in cammino verso la verità e la libertà. Nessuno le possiede, ma insieme siamo chiamati a cercarle e a condividerle. Prima di tutto è fondamentale che recuperiamo la centralità dell’ascolto nella missione educativa nei confronti delle nuove generazioni. Senza un ascolto vero i giovani rischiano di naufragare nel vortice del non senso e del malessere di vivere. L’ascolto è vita!

Negli ultimi decenni si è affermato con grande forza che la libertà è fare quello che si vuole. I giovani con il loro grido, a volte disperato, ci dicono che non è così, che neanche loro ci credono più a questa bugia. Hanno bisogno di aria pura, hanno bisogno di vivere la vita, non di percorrere sentieri sterili di sopravvivenza. Forse qualcuno lo dice in modo non appropriato e qualche volta sbagliato. Non possiamo lasciar cadere nel vuoto questo loro grido. Ci chiedono di camminare insieme a loro per scoprire che la vera libertà è essere quello che si è. È camminare, giorno dopo giorno, per fare emergere il vero, il bello e il buono della nostra esistenza. Ci chiedono di essere amati per quello che sono, non per quello che fanno o che noi vogliamo siano. Ci chiedono di essere accolti con le loro ricchezze e le loro fragilità, non aspirano ad alimentare il mito del bambino perfetto o del super eroe. Vogliono potere con calma coltivare i loro sogni, che ricordiamocelo, sono più preziosi ed importante di qualsiasi business plan. Vogliono condividere le loro vittorie ed essere sostenuti nelle loro sconfitte. Vogliono semplicemente imparare a vivere da uomini e donne. Questo forse ce lo siamo scordato e dobbiamo recuperarlo. Come ? Ritrovando il senso del limite nostro e loro. Se così non facciamo rischiamo veramente che l’oscurità del non senso inghiotta come un vortice i loro sogni, le loro speranze … la loro vita e anche la nostra. Si tratta allora in modo molto concreto di dare nuovo valore e spessore ai “si” e ai “no” che diciamo. Troppi “si” regalati con superficialità hanno sdoganato sentieri troppo impervi che stanno fiaccando e non irrobustendo il cammino dei giovani. Dobbiamo tenere presente che il “si” non è sempre educativo. Ancor di più, credo, che i nostri ragazzi e giovani ci stiano dicendo che hanno bisogno di alcuni nostri “no” per continuare a cercare la bellezza della vita e non “spiaggiare” nel non senso, nel vuoto, nella disperazione.

Oggi educare ci chiede di ritrovare insieme ai giovani l’ebbrezza di ampi mari, di rotte capaci di sfiorare l’infinito. Prendiamo sul serio questa sfida. Se sapremo essere educatori significativi presto la strada dei nostri giovani sarà liberata da tutti quei “mostri” che la minacciano. Ricordiamo l’importanza della formazione e dell’educazione come dice un antico proverbio cinese “Quando fai piani per un anno semina grano; se fai piani per un decennio pianta alberi; se fai piani per la vita, forma ed educa le persone”.

 


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