Il 5 settembre 1997 moriva Santa Teresa di Calcutta, per questo dal 2012 ogni anno in questo anniversario celebriamo la Giornata internazionale della Carità.
La ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per affermare che «la carità può contribuire alla promozione del dialogo fra le persone di diverse culture e religioni, come pure la solidarietà e la comprensione reciproca». Questa scelta è un riconoscimento alle religioni, che senza rinunciare alla propria identità possono dialogare per uno sviluppo umano integrale. Ed è un ricnoscimento anche alla carità intesa in senso cristiano, come motivazione culturale e religiosa all’impegno per il prossimo.
Per l’occasione, quest anno Caritas italiana ha pubblicato on line, su www.caritas.it, una raccolta di preghiere dal titolo “Carità è Missione”. I testi sono stati scritti nel corso dell’anno pastorale dagli operatori di Caritas Italiana e traggono spunto dall’incrocio di due spinte precise: le indicazioni della Cei sull’azione missionaria, modello di ogni azione della Chiesa e la riflessione verso il 50° di Caritas Italiana che si celebrerà l’anno prossimo. A queste due spinte si è sovrapposta, inevitabilmente, l’emergenza Covid-19, che ha inciso profondamente, oltre che a livello economico e sociale, anche nella dimensione e nella vita spirituale di tutti noi. L’emergenza della pandemia ha colpito non soltanto le singole persone e le loro famiglie, ma tutte le comunità, a partire dai luoghi di aggregazione. Eppure pensiamo che paradossalmente, o meglio provvidenzialmente proprio questo è stato ed è il momento della comunità e della Chiesa. Non tanto e non soltanto per dare aiuti materiali, ma soprattutto per garantire la presenza costante, condividere le difficoltà e aiutare ad affrontarle insieme. La presenza, il rapporto umano, la comunione ecclesiale, la condivisione della sofferenza. Immergersi nelle sofferenze e nei problemi di ogni comunità e di ogni persona, difendendone con coraggio i valori, la dignità e i diritti. Questo incontro di Chiesa e di popolo, che deve trovarci tutti uniti, può essere stimolo e motivo di impegno e di speranza per affrontare i nuovi problemi che presenta l’evolversi della società in tutto il paese e nel mondo intero, durante e dopo questa pandemia. Papa Francesco ci ha messo in guardia contro un pericolo: “dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente”. Per una Chiesa che sa farsi missionaria, la carità diventa così la condizione fondamentale per affrontare in modo costruttivo i problemi che la situazione attuale presenta. È il cemento del corpo in cui tutti viviamo, partecipando ad un destino comune in cui nessuno può essere lasciato indietro. Nella consapevolezza che lo stile della carità-missione somiglia “a un canto dolce, una lampadina che si accende, un passo lento ma costante, silenzioso, una carezza che, chinato il capo, con la guancia si vuol trattenere”. Un cuore di pietra che – nella preghiera – si trasforma in cuore di carne. In un continuo scambio tra azione e contemplazione, tra vita e fede, tra carità concreta e carità spirituale.