Una casa aperta ai sogni di vita e di pace dei giovani: inaugurata Casa Jawo - CARITAS TARVISINA

Una casa aperta ai sogni di vita e di pace dei giovani: inaugurata Casa Jawo

Uno spazio dedicato ai giovani, dove incontrarsi, confrontarsi e maturare scelte di pace e di vita: è questa l’identità di Casa Jawo, inaugurata domenica 26 marzo, in via Venier, accanto alla Casa della Carità, alla presenza di molti giovani e del Vescovo, primo evento per celebrare i 50 anni di Caritas Tarvisina, presentato da Valentina Cabras, referente per l’Area giovani. Invitati speciali sono stati proprio quei giovani che nella loro vita hanno fatto una scelta di pace, come quella di dedicare un anno accanto ai poveri e alle persone in difficoltà, i ragazzi e le ragazze dell’Anno di Volontariato Sociale in Caritas. Alcuni di loro fanno parte dei “Ragazzi di Casa Jawo”, il gruppo di giovani che gestirà la Casa in collaborazione con Caritas Tarvisina, per farne un’esperienza di condivisione, di scambio, di servizio.

Oltre ai ragazzi e ragazze ex Avs, infatti, fanno parte del gruppo – una quindicina in tutto – anche alcuni che hanno partecipato a diverse iniziative di Caritas in collaborazione con la Pastorale giovanile, come B&B, “Benedizione&Bellezza”, l’esperienza estiva di vita fraterna assieme ad altri giovani e alle persone ospitate in Casa della Carità o senza fissa dimora.

La gioia per il momento l’ha espressa il direttore della Caritas, don Davide Schiavon, che ha ricordato come il pomeriggio di domenica si collochi “dentro la storia della Caritas e della nostra Chiesa, fatta di tanti volti, persone, storie, di cui voi siete una parte”. E di quella storia fa parte anche Jawo Muhammed, che in Casa della Carità svolgeva il servizio di custode, morto il 2 settembre 2021, e che don Davide ha ricordato come un amico. “Era arrivato con i primi migranti il 6 maggio 2011 – ha ricordato don Davide – e piano piano è nata una storia grande di amicizia, di collaborazione, anche grazie al suo sorriso e alla sua capacità di accoglienza, che tanto bene ha fatto. Una storia ancora viva, anche per il fatto che la moglie e il figlio di Jawo vivono ancora con noi e sono un dono per tutti”. Don Davide ha augurato ai giovani che abiteranno la casa di “vivere con intensità le scelte di vita e di pace che farete. Buona germinazione, nell’accoglienza e nella pace, e nel ricordo di un fratello che vive nel Signore”.

Ospite del pomeriggio, per una testimonianza sui temi dell’accoglienza e della pace, è stato John Baptist Onama, ugandese, 56 anni, docente al dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova e docente di “Cooperazione internazionale e Sviluppo umano sostenibile” all’Istituto universitario salesiano di Venezia. Onama ha ricordato il suo legame con la Caritas diocesana e con la Casa, e ha condiviso il proprio ricordo di Jawo. “Per me la testimonianza ha un significato pastorale, di evangelizzazione – ha sottolineato -. La Chiesa è nostra, è la nostra famiglia, e ha bisogno di laici e di giovani per evangelizzare. E la pastorale della carità è parte integrante dell’evangelizzazione, è essenziale per vivere il vangelo di Gesù Cristo”. Figlio di un’infermiera sudanese profuga in Uganda e di un uomo politico ugandese, dopo un’infanzia serena, Onama, a causa della guerra, ha vissuto la dolorosa esperienza di profugo e poi di bambino soldato, costretto a combattere per l’esercito ugandese. “Ho vissuto la guerra, ho visto violenza, uccisioni, stupri, ho visto la vita umana perdere valore – ha raccontato -, ma io sognavo di poter essere ancora un ragazzo, sognavo di continuare a studiare, e questo è stata la chiave della mia sopravvivenza”.

Il “sogno” ha salvato la vita e il futuro del ragazzo John Baptist, perché quel sogno è stato raccolto dal suo Vescovo, che ha mediato per la sua liberazione, affidandolo a un collegio di missionari comboniani. E’ così che è iniziata la sua lunga esperienza migratoria, fino all’arrivo in Italia, con tutte le sfide che ogni rifugiato vive in un Paese straniero. “Sono grato alla solidarietà di chi mi ha aiutato donandomi un sorriso – ha sottolineato – un abbraccio, una pacca sulla spalla, di chi mi ha curato, mi ha vestito, mi ha mandato a scuola. Grazie a queste persone e all’ospitalità in un convento, ho potuto fare un cammino spirituale, riscoprendo quella sacralità della vita che avevo perso con la guerra”. Onama, ricordando gli interessi economici dietro la grande industria bellica, ha ribadito la brutalità della guerra, di ogni guerra, che è sempre “un’avventura senza ritorno”, nella quale gli “effetti collaterali” e i “rischi calcolati” sono sempre vittime civili. Il sistema stesso delle nazioni riconosce lo ius ad bellum, il diritto a fare la guerra: “Sembra che la civiltà odierna pecchi di idolatria, considerando la guerra inevitabile” ha denunciato Onama, ma “la pace va urlata dai tetti, ma soprattutto va agita con la giustizia, va perseguita con bontà e coraggio, con amore. Il prezzo da pagare sono i sacrifici, le scelte, la rinuncia a qualcosa”. Ma noi, “che cosa vogliamo sognare?” si è chiesto il professore, che ha invitato i giovani a scegliere e a schierarsi – perché “o si è grazia o disgrazia” -. “Prendersi cura delle ingiustizie, nella cura delle relazioni, secondo l’ecologia integrale di cui ci parla papa Francesco, oggi significa garantire accoglienza, protezione, promozione, inclusione”.

“Qui mi sento a casa – ha detto il vescovo, Michele Tomasi, salutando i presenti -. Ciò che imparo è che la dimensione dell’amore, la “caritas”, per la Chiesa, non è un’attività assistenziale, ma fa parte dell’intima essenza della comunità cristiana. Se sei in questo amore, sei in Dio. Questo progetto – ha aggiunto il Vescovo – darà frutto nella nostra Chiesa di Treviso. I muri sono importanti perché ospitano le persone, e qui si impara a farsi prossimi per abitare questo mondo, vivendo secondo parole buone, nella dimensione bella della speranza. Voi giovani oggi smentite tanti luoghi comuni, tante stupidaggini sulla vostra generazione – ha sottolineato mons. Tomasi -. Vivete una inquietudine sana, testimoniate che è bella una vita vissuta nell’orizzonte dell’amore”. Citando una delle definizioni della Casa, “divano scomodo”, il Vescovo ha ricordato l’invito di papa Francesco ai giovani della Gmg di Cracovia a non essere “giovani da divano”, a coltivare una inquietudine sana, e li ha spronati a vivere la “convivialità delle differenze”, secondo la definizione di don Tonino Bello. “Diventerà uno dei luoghi più importanti di Treviso – ha concluso il Vescovo – perché sarà visibile che è possibile la pace, che è possibile l’amore”.

La casa è stata ristrutturata grazie a un contributo dei fondi dell’8 per mille della Chiesa italiana. A lavorare alla riqualificazione anche i “ragazzi di Casa Jawo”, che hanno accompagnato i presenti in visita ai tre piani della struttura, dove sarà possibile sostare, essere, prima che fare. Secondo un “programma” da costruire con i giovani e le giovani che gestiscono la casa, ma che già negli slogan stampati sulle magliette ha una traiettoria tracciata: “Casa Jawo: porta aperta all’incontro nella diversità”; “Casa Jawo: un divano scomodo, luogo di condivisione aperto a nuovi interrogativi”; “Casa Jawo: segni di prossimità, semi di un mondo migliore”. Insomma, una porta aperta per accogliere col sorriso, ma aperta anche per uscire e condividere.

Alessandra Cecchin (La Vita del Popolo, 27  marzo 2023)


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