Con questa domenica 30 novembre inizia l’Avvento. È un tempo di grazia nel quale siamo chiamati ad aprirci alla carità e al dono della fraternità. Sono giorni nei quali dovremmo da credenti, discepoli del Signore Gesù, rivivere quest’attesa della nascita del bimbo, perché il Natale è una gioia che deve raggiungere tutti. Presso la grotta di Betlemme, nel luogo in cui la tradizione dice che è nato Gesù, portiamo nella nostra preghiera intensa tutto il cammino della Chiesa che, sotto la spinta di Papa Francesco, riscopre continuamente la gioia e la bellezza di essere una Chiesa povera per i poveri perché il Vangelo sia annunciato a tutti. E’ questo respiro interiore, questo vibrare del cuore che deve avere la capacità di donarci la gioia umile, di renderci appassionati ricercatori dei segni della sua presenza, di sperare in “cieli nuovi e terra nuova”.
L’umiltà è l’anima della povertà. “Francesco d’Assisi non è umile quando si inginocchia davanti al Papa, ma quando si abbassa davanti a un povero, che egli riconosce in quanto povero, rivestito di maestà. Li il suo gesto non è condiscendente: niente del suo sguardo sovrasta. Nessuna forzatura: la spontaneità è assoluta, esprime l’amore come il respiro esprime la vita. Bisogna essere immensamente grandi per respirare così. L’umiltà di Francesco è una partecipazione a quella del suo Signore”.
È una povertà innamorata, se il riferimento è e rimane Cristo. Questa intensità contemplativa dobbiamo viverla da credenti, offrirla come segno di testimonianza umile anche a quanti sono in ricerca, a quanti operano con tanto spirito di generosità, a quanti praticano un’altra religione, a quanti si dicono non credenti ma di fatto sono portatori di un messaggio di giustizia, di fraternità. In questo Avvento dobbiamo ritrovare il coraggio e la gioia della speranza.
Se vedere il povero è vedere Dio allora il povero è il colore di Dio, diceva unmonaco. Dobbiamo non perdere questa intensità spirituale che ci dona un linguaggio, un modo di vivere, uno sguardo che dilata il cuore, apre orizzonti di pace vera. In questo tempo siamo chiamati a desiderare una Chiesa, una Caritas così intimamente legata alla storia dei deboli, dei fragili, dei vulnerabili che da lì trova il coraggio, la forza di parlare alle coscienze di ciascuno, per regalarci la mitezza del cuore, la gioia di annunciare il Vangelo.
I cristiani non sono infermieri della storia, ma discepoli appassionati che scoprono Gesù al Vangelo vivo, nei sacramenti e nei poveri. Noi serviamo i poveri per amore di Gesù.
Questa è la novità che rende il nostro servizio prezioso e bello. Non facciamo nulla per interesse, ma solo per amore e per fede. Inoltre, tutta questa rete di carità nata nella fede è una vera e propria palestra di vita, una scuola di amore e giustizia. Pur consapevoli di essere bisognosi di una costante conversione, sappiamo di far parte di una foresta che cresce senza fare rumore. Cosa sarebbe la nostra società senza la vasta rete di opere di carità della Chiesa? Nel deserto di questa terra vi sono oasi di accoglienza dove viene “custodito il dono di Dio”, educando alla giustizia e alla pace, al servizio e non al farsi servire! Deve diventare questo un Avvento davvero vissuto e celebrato in pienezza, anche di fronte a quanto sta succedendo nel mondo, alle crisi drammatiche, alle guerre diffuse, alla violenza che si respira anche nel quotidiano, a questo arrivo dei profughi, a questo gridare sofferto della gente, a questa illegalità che corrode.