La scelta preferenziale dei poveri è fatta di atteggiamenti interiori che siamo chiamati a tradurre in scelte concrete. Il prendersi cura di una persona in difficoltà chiede di realizzare delle azioni che sono a suo favore. È necessario sporcarsi le mani, giocarsi fino in fondo senza paura. Il prendersi cura implica una serie di scelte che modificano quella sterile quiete nella quale sovente ci rifugiamo, per non essere disturbati.
Caritas Italiana e FOCSIV in questa emergenza hanno unito le forze in un’alleanza “per amore degli ultimi”, per non dimenticare chi è rimasto indietro, perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno. Lanciano la Campagna “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: un’occasione di impegno e mobilitazione per tutti, in primo luogo per sensibilizzare le comunità cristiane e tutta l’opinione pubblica a preparare insieme il domani di tutti, senza scartare nessuno, riflettendo e impegnandosi sui temi della fame, della povertà, del lavoro, dell’educazione, delle disuguaglianze.
Il primo focus è dedicato al tema della fame, infatti tra le conseguenze immediate delle ripercussioni economiche mondiali legate all’epidemia di Coronavirus, secondo i dati di previsione delle Agenzie ONU, ci sarebbe il raddoppio del numero delle persone che non avranno a breve il quantitativo sufficiente per nutrirsi. Si passa dagli attuali 135 milioni di persone affamate a 250 milioni entro dicembre 2020. Un dramma senza fine che “richiede di essere affrontato non con la logica dell’indifferenza, ma con la logica dell’ospitalità e della condivisione al fine di tutelare e promuovere la dignità e la centralità di ogni essere umano”.
Il 55% di persone nel mondo oggi vive senza alcuna tutela sociale. È necessario restituire a tanti uomini, donne e bambini i propri diritti fondamentali, a partire dal cibo, cure mediche, salute, istruzione, lavoro, con azioni concrete che mirano a costruire relazioni, dialogo, pace, giustizia sociale, concorrendo allo sviluppo integrale dell’umanità, secondo quanto lo stesso Papa Francesco ci ha indicato nella sua Enciclica Laudato Si’. Perché nessuno sia lasciato indietro e solo, in questo tempo di mare in tempesta.
La scelta preferenziale dei poveri è fatta di atteggiamenti interiori che siamo chiamati a tradurre in scelte concrete. Il prendersi cura di una persona in difficoltà chiede di realizzare delle azioni che sono a suo favore. È necessario sporcarsi le mani, giocarsi fino in fondo senza paura. Il prendersi cura implica una serie di scelte che modificano quella sterile quiete nella quale sovente ci rifugiamo, per non essere disturbati. È bene tenere presente che il povero prima di tutto rompe, rompe i nostri schemi e le nostre zone di protezione. Il povero entra nel profondo del nostro cuore, ci ferisce e ci provoca. Fa sorgere nel nostro cuore una sana inquietudine che ci smuove dalle nostre pigrizie ed esitazioni.
Prendersi cura di una persona significa che la sua vicenda ci sta a cuore e che le sue debolezze e fragilità sono il luogo prezioso dove vivere una relazione libera e liberante. Prendersi cura di una persona significa amarla senza condizioni, senza se e senza ma. Non è spreco di energie, ma è un investimento che porterà frutti abbondanti ed inaspettati. Prendersi cura di una persona significa esserci, stare dentro le fatiche e i dolori con uno sguardo capace di infondere speranza e fiducia. È continuare la missione del Signore che desidera che nulla vada perduto, che è disposto a tutto pur di salvare la vita dell’uomo. La povertà e la sofferenza gelano il cuore e rendono affannoso il respiro. In queste fasi della vita segnate dall’angoscia e dalla tristezza, abbiamo bisogno di sentire una mano amica che ci sorregge, la dolcezza di una carezza che ci asciuga le lacrime, la leggerezza di un sorriso o di una parola che ci rincuora. Il prendersi cura del fratello non è l’azione di un momento, ma è l’atteggiamento interiore di chi vive inserito nella Pasqua di Gesù. È la modalità con cui diamo corpo e forma ad una preghiera antica che unisce il cielo e la terra, l’umano ed il divino: “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini d’oggi. Cristo non ha mezzi ha soltanto il nostro aiuto per condurre gli uomini a sé. Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora. Siamo l’ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole”. Una bella icona di questo amore che attraversa il cielo e la terra è il crocifisso di Furelos che ha ispirato quello che è presente nella cappella in Casa della Carità. La caratteristica è quella di avere un braccio appeso alla croce e l’atro proteso verso la terra. È quasi un ponte tra la terra ed il cielo, tra la misericordia di Dio e la miseria dell’uomo. È la Carità che si fa storia, che si fa incontro all’uomo povero e sofferente. Il Cristo infatti è attaccato alla croce con due soli chiodi: uno che fissa la mano sinistra e l’altro i piedi. La Sua mano destra, invece, è libera ed è tesa verso chi gli è di fronte, come se si aspettasse che la prendesse. Sa che chi ha davanti è stanco … vuole dare un po’ di sollievo come una mamma quando dà la mano al suo piccolo per aiutarlo a camminare. Poi, siccome lo si vede appeso in modo che i suoi piedi siano all’altezza degli occhi di chi guarda, sembra quasi invitare chi gli è di fronte ad accettare, nel profondo del proprio cuore, se tendergli o meno la mano.
Il prendersi cura di chi è in difficoltà non può mai essere qualcosa che viene delegato al singolo o ad un gruppo di persone, ma deve essere sempre espressione di una comunità che nell’ascolto della Parola e nello spezzare insieme il Pane di vita, trova la sorgente di ogni opera di carità. La carità è allora il cuore ed il volto di una comunità che è chiamata a tessere relazioni di fraternità e di sostegno reciproco. Con coraggio e grande umiltà facciamo la nostra parte, realizziamo quel bene che Dio ha affidato alle nostre fragili mani.