Leggere il nostro tempo - CARITAS TARVISINA

Leggere il nostro tempo

«Abbiamo visto come la paura può annebbiare la ragione e abbiamo sempre bisogno di camminare insieme, di sostenerci (…)

Non lasciamo che gli interrogativi di senso che sono germogliati nelle nostre vite cadano nel vuoto, non perdiamo questa occasione di tradurre in scelte di vita i segni che il Signore ho posto sulla nostra strada.»

 Sovente papa Francesco ci rivolge l’invito ad essere chiesa in uscita, comunità di discepoli capace di stare dentro questo mondo con umiltà e semplicità, ma annunciando e testimoniando la potenza generativa del Vangelo. Sempre più siamo chiamati a custodire e promuovere la dignità dell’uomo secondo quello che è il progetto di verità e libertà che Dio ha su ogni uomo. Si tratta di cercare un modello di sviluppo e di attenzione all’uomo che sia espressione di quell’antropologia cristiana che ci invita ad essere “lievito nella pasta”.

Una sfida molto importante è quella di condividere le gioie e i dolori dell’uomo del nostro tempo. Siamo chiamati ad una azione che sia capace di alimentare l’impasto tra l’umano e il divino, l’unico che è fecondo e generativo in maniera sempre sorprendente.

È necessario che restiamo in ascolto di quello che la nostra storia ci sussurra per vivere un discernimento comunitario che ci aiuti a cogliere dove il Signore ci chiama, come chiesa, a stare ed essere. Negli ultimi anni la storia dell’umanità è stata contrassegnata da alcuni eventi in maniera forte.

Pensiamo alla crisi economica del 2008 che ci ha fatto comprendere la non sostenibilità del modello di sviluppo in cui ci siamo impantanati, dando priorità al bene individuale rispetto al bene comune. Pensiamo alle migrazioni forzate che mettono in luce come le disparità e le diseguaglianze tra uomini siano fonte di sofferenza, povertà e violenza; la rivoluzione digitale che è una grande opportunità di crescita, ma che nasconde anche delle insidie molto pericolose; la crisi ambientale con i cambiamenti climatici che ci richiama ad una responsabilità collettiva nei confronti dello scempio di quella casa comune che è Madre Terra. Sono appelli molto forti, parole che Dio ha sussurrato al nostro cuore perché fossimo capaci di rileggere la nostra storia alla luce della Sua Parola e maturare scelte orientate ad attivare processi generativi per la custodia e la promozione della VITA.

Purtroppo questa attivazione sta procedendo lentamente.

Forse siamo rimasti chiusi nelle nostre sacrestie e nei nostri oratori, con l’ingannevole presunzione di avere già la verità in tasca, di avere una risposta per tutto e per tutti. Non ci siamo messi in cammino per leggere i segni di questo nostro tempo e abbiamo continuato a sfornare risposte a domande che nessuno si era posto. Dinanzi a questa nostra storia è necessario che ci lasciamo mettere all’angolo per ascoltare e trovare le vere domande che abitano il cuore di questa umanità splendida e promettente, ma altrettanto ferita e fragile. Abbiamo bisogno di sostare su domande giuste per essere veramente chiesa in uscita, per vivere una profezia che dischiuda orizzonti di fiducia e speranza ad ogni uomo, in ogni angolo della terra. Non è mai troppo tardi per riprendere in mano questi segni dei tempi e vivere un discernimento generativo e comunitario alla luce del Vangelo.

Penso sia importante anche che ci soffermiamo sul segno dei tempi che è l’epidemia del corona virus (Covid 19). Al di là delle considerazioni tecniche e sanitarie, la situazione che si è venuta a creare in questo periodo ci offre molti spunti di riflessione per una revisione (conversione) del nostro stile di vita. Prima di tutto emerge un invito a riscoprire e considerare la vulnerabilità e fragilità dell’uomo come un valore da ritrovare. Il delirio di onnipotenza ha portato l’uomo a perdere contatto con la realtà, a ritenere che ogni cosa può essere disponibile ai propri bisogni. L’uomo ha perso il suo orizzonte di custode della vita del creato e si è trasformato in despota e tiranno, spaccando l’umanità in forti (pochi) e deboli (tanti). È bastato un microscopico virus “intelligente” per far saltare il banco.

Tutto ciò ci ricorda che la vita è dono e che noi non siamo padroni di nulla.

Questi giorni hanno costretto alcune persone all’isolamento, altre a modificare l’ordinario, contraendo le relazioni e annullando ogni riunione di persone, comprese le celebrazioni liturgiche. Tutto questo ha rimesso in luce, in maniera molto forte, il valore della comunità e delle relazioni che spesso sacrifichiamo sull’altare dell’efficienza e dell’individualismo.

Questo tempo ci ha ricordato che le relazioni sono vitali, che nessun uomo è un’isola. Abbiamo visto come la paura può annebbiare la ragione e abbiamo sempre bisogno di camminare insieme, di sostenerci, di trovare un equilibrio mettendo in comune le risorse di ciascuno. Abbiamo sperimentato come dinanzi alla fragilità umana lo spirito del male cerca di farsi strada, di imbrogliare, di annichilire. Recuperiamo il senso del limite, la dimensione umana del nostro essere. È necessario riscoprirsi unica famiglia umana, figli di un unico Dio e fratelli tra di noi. Questo virus ha portato anche la morte, ma è dentro questa realtà che siamo chiamati a portare la luce di una resurrezione che rinnovi l’umanità. Non lasciamo che gli interrogativi di senso che sono germogliati nelle nostre vite cadano nel vuoto, non perdiamo questa occasione di tradurre in scelte di vita i segni che il Signore ho posto sulla nostra strada.


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