Vicenda che pone molte domande. - CARITAS TREVISO

Vicenda che pone molte domande.

All’ex Caserma Serena: 137 migranti asintomatici risultati positivi al Covid-19. Erano 13 a giugno.

“Ora ci si chiede: se a giugno i contagiati erano risultati 13, e a fine luglio erano 137, in che maniera si è realizzato il prescritto isolamento interno e le altre norme sanitarie correlate?”

La questione dei 137 migranti risultati positivi all’interno dell’ex caserma Serena può essere trattata come questione sanitaria, politica, di ordine pubblico… In ogni caso crediamo siano importanti alcune considerazioni, che aiutano a collocare in maniera più oggettiva la questione e che non hanno risposta facile. Primo. Come si ricordava in una recente dichiarazione, è stato il tipo di appalto seguito al primo “decreto sicurezza” a favorire la concentrazione dei richiedenti asilo in centri di dimensioni sempre maggiori, come appunto, nel trevigiano, l’ex caserma Serena. Chi fino ad allora si era impegnato secondo un altro modello, quello dell’accoglienza diffusa, aveva avvertito: “Concentrazioni eccessive aumentano i rischi di impatto sul territorio e non favoriscono né i migranti né le comunità residenti”, e questo anche al di là degli sforzi dei singoli operatori impegnati all’interno dei centri. Su tutto ciò sembra abbiamo davvero la “memoria corta”. Secondo. La società che fin dall’inizio ha gestito il Centro di Accoglienza Straordinario (CAS) installato nell’ex caserma Serena, è sempre stata considerata da varie istituzioni come modello di gestione, al punto da blindare ogni richiesta di sopralluogo indipendente. Qualche mese fa ha vinto l’appalto per l’hotspot di Lampedusa, e a fine luglio i giornali hanno riportato una dichiarazione attribuita al suo presidente: “Applichiamo a Lampedusa il metodo provato a Treviso”. Ora ci si chiede: se a giugno i contagiati erano risultati 13, e a fine luglio erano 137, in che maniera si è realizzato il prescritto isolamento interno e le altre norme sanitarie correlate? Terzo. Sembra sia assai difficile tracciare i contatti dei positivi in ambiente di lavoro. Emerge ciò che tutti sanno: la maggior parte lavora in nero, e non vuole dichiarare con chi, per non perdere ogni possibilità futura di impiego. Quale circolo vizioso continua ad alimentare questo tipo di situazione, dannosa per chi sul lavoro è sfruttato e per una comunità civile che non beneficia delle imposte evase? Certo che anche i migranti vanno chiamati a responsabilità rispetto a questa pandemia, vanno però adeguatamente seguiti nel farlo. Quarto. Il problema posto dai contagi rischia di restringere l’attenzione ad una crisi preoccupante ma comunque circoscritta. La pandemia in corso invece sta evidenziando in maniera ancor più cruda una crisi strutturale già in atto da anni in Italia: la crisi demografica e di degiovanimento (la riduzione del numero dei giovani nella popolazione totale). Il calo sempre più accentuato delle nascite si combina con l’aumento dei morti, con l’emigrazione di giovani italiani e migranti, con la relativa diminuzione di risorse da destinare ai sistemi protettivi di welfare, compreso quello sanitario, con la recessione innescata dalle conseguenze della pandemia e con l’aumento dell’indebitamento nazionale presente e futuro, procurato dai necessari ammortizzatori sociali. Si stanno progettando a livello nazionale e locale interventi di sostegno per le famiglie. Ma in attesa che questo si trasformi in fiducia e scommessa sul futuro da parte delle giovani coppie, chiediamoci: se le coppie straniere sono quelle che al momento ancora presentano una fecondità più elevata, perché non intervenire anche su questo fronte per favorire un loro inserimento sempre più effettivo nel contesto sociale, economico e culturale italiano? Certo, sono considerazioni che non hanno sempre risposte facili. Ma ci accontenteremmo che almeno l’opinione pubblica si ponesse alcune domande che nascono dal considerare la situazione in un contesto più ampio, per iniziare a vedere i migranti come uno dei possibili fattori di risoluzione di alcune effettive difficoltà globali, al posto di elementi che aumentano la criticità del problema.

(don Davide Schiavon, direttore Caritas diocesana
e don Bruno Baratto, direttore Migrantes)

 

 

 


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