RAKHI sulle tracce di…testimoni di pace - CARITAS TREVISO

RAKHI sulle tracce di…testimoni di pace

A volte si ha la convinzione che una certa esperienza ti possa solo dare fin là e il più delle volte succede come preventivato; altre volte, invece, si viene stupiti da quel qualcosa in più che ci prende in contropiede, che ci fa riflettere e dire: ma perché non sempre la verità la si conosce nella sua interezza?

Questa meraviglia l’ho provata in uscita con i ragazzi dell’Anno di Volontariato Sociale di Caritas Tarvisina e Vittorio Veneto a Marzabotto e Barbiana ad inizio giugno.

Tutti hanno studiato la Seconda Guerra Mondiale, il nazismo e gli eccidi compiuti dalle SS, però c’è sempre un lato della medaglia nascosto, che non si vuole rivelare perché farebbe male, confonderebbe le nostre certezze. Giampaolo, un simpatico e arzillo signore ci ha aiutato ad entrare nella storia di Marzabotto, non quella con la S maiuscola, ma quella dei contadini, dei borghi più nascosti di Monte Sole. Cosa si cela dietro una chiesa mezza diroccata? Un muro e delle croci di ferro con i segni dei proiettili? Storie di dolore, di morte, di follia umana, di SS che senza pietà uccidono intere famiglie e bruciano chiese, ma anche di uomini che di fronte ad una bambina piccola, biondissima e con gli occhi azzurri ricordano di avere un cuore, lì nascosto da qualche parte sotto le ideologie e la follia, che fermandosi a guardare per la prima volta negli occhi il “nemico” così simile a sorelle, figlie decidono che, forse non è così pericoloso questo avversario, da doverlo annientare senza scrupoli.

È camminare lungo quei borghi cercando di immedesimarsi negli abitanti, nel vedere nel bosco un rifugio sicuro o la chiesa come zona neutrale dove nessuno avrebbe potuto toccarli, la difficoltà di capire perché tanto odio, la fatica delle donne rimaste a casa costrette a mandare avanti il lavoro nei campi e i bambini o lasciati a se stessi o accolti in asili speciali che li tenevano impegnati cercando di dar loro un po’ di serenità e compagnia. È rispettare le scelte di chi ha deciso di non combattere in prima linea, di chi invece ha creduto nell’azione ed è morto per liberare il proprio Paese e di chi ha seguito fino in fondo il Vangelo d’Amore morendo assieme ai bambini affidategli.

Eh sì, fa male ascoltare queste storie di morte, vedere l’età delle persone uccise, sapere che ci sono stati anche italiani che hanno deciso di collaborare con il nemico, ma anche scoprire che c’erano soldati tedeschi “umani”. Tutto questo Giampaolo ce l’ha narrato con semplicità, schiettezza, un po’ come se fossimo i suoi nipoti, con la forza dirompente della normalità, della quotidianità che colpisce nella sua immediatezza.

Alla sera, dopo questo carico di emozioni, ci siamo spostati in Toscana, a Vicchio a conoscere la Comunità “Il Mulino”, un gruppo di famiglie che ha deciso di vivere assieme in fraternità e condivisione. Perché nel duemila, secolo ritenuto da molti governato dall’egoismo, persone dovrebbero scegliere di andare controcorrente e scegliere di costituirsi a comunità?

La risposta dataci, è stata molto semplice e diretta: perché c’è fame di questo, di riavvicinarsi e costruire legami solidi e solidali. Non è un estremismo, né un fondamentalismo, è cercare nella comunità che coopera e genera la risposta alla sete di Lui. Certo, ci hanno spiegato, che ognuno ha anche i suoi spazi, un lavoro esterno e la possibilità di uscire liberamente, ma ci sono anche momenti di condivisione della giornata e dei pasti. Tra le tante curiosità emerse, una fra tutte, mi ha colpito in maniera particolare perche può sembrare una tragedia, la tv unica. Una famiglia composta da quattro membri a volte trova difficoltà a mettersi d’accordo su quale programma guardare alla sera, pensa con 23 persone, eppure nel pieno rispetto di ognuno si cerca di mettersi d’accordo e anche da una questione che può sembrare banale viene ad esplicitarsi lo spirito di comunione.

Il giorno dopo l’uscita è continuata con la salita a Barbiana ripercorrendo i primi passi di don Lorenzo Milani, in maniera letterale, provando la fatica di una strada molto in salita, con il caldo e un po’ di interrogativi su quello che si sarebbe trovato alla fine. A prima vista non sembra assolutamente un posto che sia riuscito a dare la speranza a molti ragazzi, né fisicamente né moralmente, perché schiettamente sono quattro mura, una chiesa e il campanile. Però forse è stato proprio il senso di familiarità, la consapevolezza che era l’unica valida alternativa ai campi e che poteva creare la possibilità di crescere, di educare. Don Lorenzo Milani è sicuramente un personaggio insolito, strano, a tratti scomodo con il suo andare contro la scuola statale, contro la leva obbligatoria, contro chiunque alimenti l’ingiustizia.

A qualche giorno di distanza, le parole, gli eventi che ho interiorizzato sono stati molti ed esprimerli tutti mi risulterebbe difficoltoso. Le uniche parole che mi sento di lasciare sono: comunione con altre persone per crescere reciprocamente e amore sconfinato verso il prossimo, verso ideali di libertà e giustizia.

Rakhi


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