A fine ottobre mi sono recato in Guinea Conakry, insieme ad Ahmadou, operatore della Caritas diocesana, per cercare di aiutare due migranti a definire la “questione dei documenti”, e nello specifico del passaporto. Sono stati giorni impegnativi e difficili, perché la situazione politica di questo paese è molto instabile. Nel nostro breve soggiorno a Conakry, si è sciolto il governo e ci sono state due manifestazioni molto violente di opposizione all’attuale presidente. Il clima che si respirava era di sfinimento per una situazione di grave povertà ed oppressione. La tensione era molto alta. In questo contesto abbiamo accompagnato questi due migranti, un ragazzo e un ragazzo, nel loro viaggio, orientato a mettere ordine, così come sovente richiamano tanti slogan. Come è andata?
La prima sensazione è stata quella dell’impotenza dinanzi a una povertà così devastante. Sono rimasto veramente incredulo dinanzi a scene di miseria e di abbruttimento della dignità umana. Lo stipendio medio è di meno di 100 dollari, la maggior parte delle persone riesce a fare un pasto solo una volta al giorno. Mi ha fortemente impressionato, quando sotto una pioggia battente, nel buio di una sera, un drappello di poliziotti ci ha chiesto se potevamo pagare loro una tazza di tè caldo per rinfrancare il loro corpo infreddolito ed inzuppato d’acqua. Ancora una volta sono rimasto impotente ed impietrito dinanzi ai bambini, ai disabili, agli anziani e a quella schiera numerosa di innocenti inghiottiti dai tentacoli della miseria. Eppure, nonostante ciascuno avesse il suo dramma, nessuno ha mai risparmiato sull’elargirci un sorriso, un gesto di accoglienza non fondato su cose, ma sul cuore. Dinanzi a tanta miseria mi sono chiesto ancora una volta qual è la mia responsabilità, quali sono le scelte diverse che non posso continuare a rimandare nel tempo. Non è possibile che ci siano ancora condizioni simili, drammi segnati da sofferenza e da morte, mentre noi continuiamo a ricolmare le nostre giornate di questioni e discussioni che non portano da nessuna parte.
Una seconda sensazione è stata quella di vedere come queste persone vivono incastrate in delle situazioni che il più delle volte non sono dovute a loro scelte. Ho passato cinque ore presso il Ministero della sicurezza a Conakry. Ero l’unico bianco in mezzo a un migliaio di guineani, disperati, che sotto un sole cocente, avvolti da odori nauseabondi anelavano ad avere i documenti … ad avere il passaporto, segno di una speranza, di un possibile futuro. Ho visto persone, più fragili e vulnerabili, rimanere incastrate nelle maglie della burocrazia e delle scorciatoie di chi è più potente. Sono rimasto impressionato dalla storia di alcune persone che, nonostante si siano impegnate al massimo, non sono riuscite a “mettere in ordine” i loro documenti. Una ragazza, data in sposa ancora bambina, fatta uscire dal proprio paese con un passaporto con dati modificati. Ha cercato di mettere a posto, la risposta è stata impossibile cancellare quanto registrato in precedenza. Una giovane ragazza, che si è liberata dai vincoli di un matrimonio combinato, che vuole vivere la sua vita in Europa, studiando e creandosi un futuro, è incastrata, condannata, senza alcuna responsabilità, ad avere per il mondo intero cinque anni in più. E, in sei giorni, di storie di persone incastrate nell’ingiustizia ne ho viste e ascoltate veramente tante. Una terza sensazione che mi sono portato a casa dopo questo breve soggiorno, è quella di una sana inquietudine. La sofferenza colpisce sempre, ma è facile soffocarla nell’anestetico dell’indifferenza. Avendo il dono di girare il mondo, più volte mi sono portato a casa questa inquietudine per le ingiustizie, per le vite ferite, per la corruzione e la violenza che segna il percorso di vita di molti uomini e donne. In questa occasione il volto di questa inquietudine è quello di non accettare che qualcuno resti incastrato in situazioni di difficoltà per scelte di altri. È una inquietudine riferita a delle persone concrete che ho incontrato, ma più ampiamente è quel disagio che percepisco cogliendo che le scelte della parte del mondo più forte di cui faccio parte (e parte attiva) continuano ad incastrare, a tenere in ostaggio la libertà e la speranza di molti uomini e donne che sono nella parte più povera del mondo. Dinanzi a tutto questo provo vergogna per la mia superficialità e chiedo perdono perché mi accorgo che tante volte la mia “operosa indifferenza” toglie libertà a delle persone, a Conakry come a Treviso. Sento però vivo anche il desiderio di lottare, di fare qualcosa, di non restare inerme, perché colgo che se il Signore mi ha aperto gli occhi, mi donerà anche gli strumenti per poter insieme ad altri tracciare nuove coordinate di speranza e fiducia nel domani.