Un convegno per parlare di carcere, per riflettere sulle attuali condizioni di vita all’interno delle strutture detentive e sul ruolo che la comunità cristiana può e deve avere nella costruzione di percorsi di riscatto e reintegrazione. È quello che si è svolto a Roma lo scorso 13 novembre, organizzato da Caritas italiana. Il tema era “Giustizia e speranza: la comunità cristiana tra carcere e territorio”. Durante la giornata diversi relatori sono intervenuti sulla questione della presenza delle comunità nelle strutture detentive, il servizio sul territorio a sostegno delle persone in misure alternative alla detenzione e l’impegno per costruire un modo differente di fare giustizia.
La sicurezza “non è un tema che possiamo regalare agli sceriffi di turno”, ha commentato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nel suo intervento. Secondo il presidente della Cei sono le misure alternative a garantire la vera sicurezza nei territori “ma dobbiamo spiegarlo meglio”: “Devono essere pene alternative nel senso vero del termine, ossia tendere alla rieducazione. Ma per questo c’è bisogno di strumenti e finanziamenti”. La giustizia riparativa, invece, restituisce dignità alle vittime e agli autori dei reati. “Dobbiamo però lavorare ancora molto per garantire condizioni dignitose nelle carceri”, ha detto. Per raggiungere l’obiettivo “recidiva zero – ha osservato – bisogna dare lavoro e non elemosine”
“Fuori dal carcere, il prima possibile e accompagnati: è ciò che l’esperienza di molte Caritas e di molte altre realtà di volontariato indica come via doverosa per affrontare il problema della pena e del reinserimento”. È la strada indicata da mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, aprendo il convegno.
L’opera di “visitare i carcerati” – il punto di partenza del convegno – è un’azione di misericordia impegnativa sia per la difficoltà di accesso al carcere che per il pregiudizio verso chi è detenuto. Papa Francesco, nel contesto del prossimo Giubileo sul tema della Speranza, invita ad essere “segni tangibili di speranza” anche per i detenuti, promuovendo, tra le altre cose, forme di amnistia o condono per restituire loro fiducia e percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi. La Chiesa italiana, in particolare attraverso le Caritas, è attiva in molte iniziative di sostegno per le persone detenute, sia dentro che fuori dal carcere.
Attualmente, le carceri italiane ospitano 61.862 persone recluse con un sovraffollamento significativo, che incide sulle condizioni detentive. Tra queste, 45.404 persone stanno effettivamente scontando una condanna, e un terzo di loro ha una pena inferiore ai due anni. Fuori dal carcere ci sono 140.718 persone in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna, di cui 91.369 che stanno eseguendo un percorso giuridico fuori dal carcere. In sostanza, in Italia 2 persone su 3 stanno seguendo un percorso giuridico fuori dal carcere. Vari studi mostrano che la recidiva è significativamente inferiore per chi sconta almeno una parte della pena fuori dal carcere e anche i costi relativi ai percorsi esterni al carcere sono nettamente inferiori rispetto alla detenzione in cella. L’esecuzione della pena fuori dal carcere è vantaggiosa e consente alle persone condannate maggiori possibilità di recupero.
L’esperienza di operatori e volontari Caritas – hanno spiegato i relatori – che operano in questo ambito porta a dire che è doveroso favorire percorsi in cui le persone sono “fuori dal carcere, il prima possibile e accompagnate”. È fuori dal carcere che avviene l’incontro con la comunità che esprime il bisogno di sicurezza e si aspetta azioni di responsabilità, ma che sa anche aprire le braccia per accogliere e sostenere. Uscire il prima possibile significa limitare gli effetti negativi della detenzione e dei luoghi di detenzione, che hanno ripercussioni sfavorevoli anche sui familiari, in particolare sui figli minorenni. Accompagnare il passaggio dalla reclusione alla libertà spesso fa la differenza, perché questo momento è sempre molto delicato, ed è alto il rischio di compiere scelte sbagliate se ci si trova da soli. La presenza di figure che accompagnano è utile anche per facilitare l’incontro con la comunità, accogliendo le ritrosie, le paure e dubbi di chi si chiede se è davvero maturata la capacità di rispettare le regole ed essere responsabili.
La comunità ha un ruolo importante nel percorso di reinserimento sia per le risorse che può mettere in campo, sia perché esige legittimamente un impegno tangibile per ricostruire legami e fiducia dopo il reato. Per questi motivi è fondamentale che la comunità sia presente in vari momenti dei percorsi giudiziari: entra in carcere come richiesto dall’Ordinamento penitenziario per il sostegno morale e per avviare percorsi di reinserimento; nel territorio per accogliere e accompagnare durante la misura alternativa, in particolare con l’accoglienza residenziale per chi non ha una casa e favorendo l’inserimento lavorativo; per creare una cultura della giustizia riparativa, al fine di tener presenti in ugual misura i bisogni delle vittime, degli autori e di tutti coloro che hanno subito un danno dal reato, sostenendo dialoghi e incontri che possono portare un senso di giustizia più pieno.
ALCUNI DATI:
:: Poster | Dépliant con programma
:: Cronaca della mattinata (SIR)
:: Le conclusioni di don Marco Pagniello (SIR)
:: “Convegno Caritas sul carcere: «Basta con la sicurezza degli sceriffi»” (Avvenire)
:: “Perché loro e non io? A Roma il convegno della Caritas Italiana (L’Osservatore Romano)
CONVEGNO CARITAS SU CARCERE E TERRITORIO: I MATERIALI
- Documento di ingresso “Fuori dal carcere, prima del fine pena e accompagnati”
- Sintesi del documento di ingresso
- Intervento introduttivo di mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana
- Video dell’intervento del card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana
- “Quale comunità per quale giustizia?”, intervento di Andrea Molteni, sociologo
ESPERIENZE DAI TERRITORI PROPOSTE NEI TRE PANEL
- “In carcere per cambiarlo”
Locri PRO.ME. – Profeti di speranza, mendicanti di riconciliazione
Piazza Armerina Sperimentare il carcere è cambiare prospettiva - “Nel territorio per accogliere”
Andria “Senza sbarre”, il progetto che «risana ferite profonde»
Fossano Cascina Pensolato: spazio di lavoro, condivisione, cambiamento culturale
Vicenza Se le relazioni tornano a essere solide e sicure per tutti - “Per un’altra giustizia”
Lecco Dalla visione all’orizzonte restorativo attraverso pratiche possibili
Prato Una comunità in ripar-azione
:: Mettersi alla prova in Croce Rossa
Aggiornato il 22 Novembre 2024