Il racconto dell’Assemblea delle Caritas parrocchiali di quest’anno. L’invito a fare rete e a valorizzare gesti e parole.
“Perché ci sia carità in un territorio ci vuole qualcuno che ci mette l’anima“. E le 150 persone che erano presenti all’assemblea delle Caritas parrocchiali di sabato 9 novembre, a San Gaetano di Montebelluna, sono tra quelle che l’anima ce la mettono tutti i giorni, nelle nostre parrocchie, per rispondere alle sfide sempre più grandi che le povertà e le fragilità di questo tempo pongono, a tutti, e in modo tutto speciale a chi crede che l’altro / l’altra che è nella fatica e nel bisogno sia un fratello e una sorella che il Signore ci affianca lungo il cammino. La frase è di don Matteo Pasinato, sacerdote della Diocesi di Vicenza, docente di Teologia e direttore dell’ufficio di Pastorale sociale e del Lavoro della Chiesa berica, chiamato a riflettere insieme ai responsabili delle Caritas sul tema “Credette, saldo nella speranza? (Rm 4,18)”.
Proprio il Vescovo, nel suo intervento iniziale ha parlato del valore della speranza, a partire dal passo della lettera ai Romani, nel quale l’apostolo Paolo descrive Abramo come colui che “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza”. “Dio per Abramo è uno che, se promette mantiene, ma non per la forza della volontà, perché testardo, ma perché quello che promette può portarlo a compimento. Dio può fare ciò che ha promesso perché nelle sue mani è l’universo, perché nelle sue mani è la storia, ecco il fondamento per cui Abramo può essere saldo nella speranza contro ogni speranza. Perché crede e si fida di Dio amore onnipotente. Abramo, allora, è il padre dei credenti e Sara la madre dei credenti perché hanno questa incrollabile fede in Dio. E noi abbiamo anche il dono che questa promessa di Dio si è confermata nella vicenda terrena del Verbo eterno, di Gesù, il Cristo, il Messia incarnato, vissuto, crocifisso, morto e risorto, vivo. Questo è il fondamento della nostra speranza”. E questa speranza, ha aggiunto il Vescovo, “è anche quello che il mondo ci chiede, anche se non lo sa, è ciò di cui il mondo ha bisogno adesso. Guardiamo il mondo con lo sguardo di Dio. Mettiamoci dalla parte di ciò che lui promette e di ciò che lui sa mantenere e vediamo il nostro, il vostro servizio alla Chiesa di Cristo in questo tempo, in questo territorio della diocesi di Treviso. E sarà come mettersi in cammino con Abramo e con Sara sulle vie di questa speranza”.
“Il sogno di Dio – ha detto don Matteo – è mettere insieme chi conta le stelle e chi conta la polvere. L’attenzione al bisogno è un incontro tra il sogno di chi ha (il “pieno” del Vivere) e il sogno di chi non ha (il “vuoto” del non vivere), il bi-sogno (che si può leggere come “due volte sogno”) di dare, che si incontra con il bi-sogno di ricevere e, insieme, fanno alleanza”.
Ma che cosa può offrire la Caritas parrocchiale, di Collaborazione, al territorio?, si è chiesto il relatore. Anzitutto il valore del coordinamento, far lavorare insieme i gruppi nella comunità, con competenza; poi, la capacità di collaborare con il “fuori della comunità”, istituzioni, associazioni…, condividere il lavoro, magari offrendo supporto a iniziative organizzate da altri, o anche soltanto la propria presenza. Importante la riflessione sul rinnovo generazionale, di cui molte realtà Caritas avrebbero bisogno, e che potrebbe nascere da un maggiore coinvolgimento delle famiglie.
Come “mettere l’anima” in ciò che facciamo come Caritas?, si è chiesto don Pasinato, dando spazio a una riflessione sull’importanza delle parole, non solo dei gesti di carità. “Non basta muovere il corpo per compiere la carità. Dobbiamo mettere parole accanto ai fatti: l’animazione del territorio non è parlare a vuoto della carità, ma che la carità non sia vuota di parole di carità. Ecco che potete amare i poveri parlando meglio dei poveri, facendo parlare i poveri, raccontando notizie vere, in modo che la povertà sia riconosciuta. La parola vera sui poveri zittisca il più possibile tutte le parole volgari che stanno aumentando, amate parlando del povero”. Caritas, allora, dovrebbe offrire alla società un “linguaggio della carità”, parole con cui parlare della carità con delicatezza – anche quando si devono dire dei “no” -, e far parlare “il povero”, ad esempio chiedendo a lui cosa vuole mangiare prima di dargli la borsa spesa con quello che noi riteniamo possa servirgli…”.
“La sorgente della carità è Dio, da lui viene la carità intelligente, la carità cordiale e la carità robusta, perché è lui che ci aiuta con la comunione a fare carità” la conclusione di don Matteo.
Il Vescovo ha poi ribadito che è “dall’Eucarestia che dobbiamo attingere la forza dell’impegno, lì c’è l’incontro con il Dio vivente”, e, invitando a fare rete sentendosi “nodo” tra tante reti, mons. Tomasi ha ringraziato i referenti delle Caritas parrocchiali per il loro servizio: “Voi conoscete le persone, conoscete i loro nomi, le riconoscete. Dovete difendere la loro dignità e dovete portare il povero nella comunità, farlo rispettare”. E sui giovani, il Vescovo ha ricordato che bisogna pensare a come ascoltarli, prima di parlare loro, “andando a vedere cosa li scuote, cosa li preoccupa, andando a trovarli dove sono. Se non li troviamo, preghiamo, senza scaricare su di loro il nostro giudizio”.
Nell’occasione dell’assemblea il vescovo Tomasi ha ufficialmente presentato Paola Pasqualini, cooperatrice pastorale diocesana, che assume il compito di vicedirettrice di Caritas Tarvisina.
Le conclusioni “per continuare il cammino” le ha espresse il direttore di Caritas, don Bruno Baratto: “Il passo possibile parte da noi: facciamo un’analisi dei bisogni e delle risorse, umane e di solidarietà nel nostro territorio e partiamo da qui, entrando sempre più in relazione con la comunità cristiana (organismi di partecipazione, parroci, altri gruppi parrocchiali, altre realtà che intervengono nel servizio dei più fragili) e con la comunità civile (amministrazioni comunali, istituzioni sanitarie, produttive, economiche, associazioni di volontariato, Terzo settore). Siamo in un tempo faticoso, che ci turba, che a volte ci fa dubitare di saper lavorare per il bene comune. Ma siamo chiamati a “credere”, è nostra possibilità e responsabilità uscire a seminare questo amore che continuamente riceviamo da Dio grazie agli incontri e alle esperienze che viviamo.
Alessandra Cecchin, per La Vita del Popolo n. 44 del 17/11/2024