Relazioni che si fanno cura
Non solo visibili, oggi anche protagonisti. È questo il significato che Caritas Tarvisina ha rilanciato in occasione della Giornata dai poveri che si è celebrata la scorsa domenica. Se due anni fa era stato organizzato un pranzo in Vescovado e lo scorso anno avevano cenato, operatori, volontari e ospiti della Casa della Carità in pizzeria, stavolta l’occasione è stata utile per presentare un progetto, o meglio, un percorso di protagonismo. “Emmaus” è stato proprio questo: l’opportunità di mettere al centro le relazioni e di dare spazio alla libertà di esprimersi, oltre i bisogni primari, di persone povere che arrivano a bussare in Caritas. Sono stati, dunque, tre anni di ascolto, confronto, condivisione, ma, ancora più, di esperienze comuni informali, dalla partita di calcio degli Europei alla visita alla Biennale di Venezia, dal laboratorio espressivo e teatrale alla riorganizzazione di alcuni spazi comuni dell’accoglienza in Casa della Carità. “Come spesso accade, anche il progetto Emmaus, nato nel 2024 e finanziato con fondi 8×1000, è partito da una intuizione e, nel corso del tempo, si è modificato, andando a realizzare attività prima nemmeno immaginate – ha raccontato Cecilia Gastaldon, in occasione della presentazione della mostra in oratorio del Duomo di Treviso, con le opere creative che hanno preso forma durante un laboratorio artistico -. Ci siamo interrogati a lungo sul fatto che spesso le richieste delle persone che si rivolgono a noi riguardano i loro bisogni primari di servizi, mentre più difficilmente emerge altro”. Forse per paura, forse per pudore. Sta di fatto che “altro” è molto: è desiderio di essere visti, di stare insieme, di costruire relazioni buone e non giudicanti, di vivere contesti informali sereni, di trovare luoghi e modi per esprimersi. “Insieme agli ospiti della Casa della Carità ci siamo chiesti allora cosa potevamo fare e sono venute fuori idee, proposte, riflessioni. Lasciarci reciprocamente coinvolgere ci ha reciprocamente più «umanizzati»”, riflette Cecilia. E dai racconti di chi è intervenuto, volontari e ospiti, questa ricchezza di relazione e di umanità è emersa chiaramente “oltre ogni stereotipo, entrando con umiltà e delicatezza nella logica dello scambio e della reciprocità – hanno spiegato due volontari, Lorena e Davide -. Abbiamo visto in modo diverso da come siamo abituati, siamo grati per l’abbondanza di bene che abbiamo trovato”.
“Non mi aspettavo di trovare nella Casa spazio per la cura anche della mia dimensione personale, quasi spirituale – ha raccontato Massimo -, invece questo percorso è stato una bella opportunità di conoscere altre persone, di stare in relazione e, alla fine, anche di mettere in atto dei cambiamenti”. “All’inizio avevo bisogno di trovare risposta ai miei bisogni essenziali, date le mie condizioni di vita ero molto trascurata – ha spiegato Elisa -. Caritas mi ha aiutato a rialzarmi e ripensare la mia vita. Ora che vivo autonomamente, partecipare a queste proposte mi fa sentire «a casa»”. Parole importanti che, ancora una volta, sottolineano come “i poveri ci evangelizzano – ha ricordato la vicedirettrice Paola Pasqualini a conclusione dell’incontro -. Con loro impariamo a vivere l’amore, a condividerlo e a metterlo in circolo, facendoci carico delle fragilità”. Citando il messaggio di papa Leone per questa nona Giornata dei poveri, ha ricordato che siamo “chiamati a creare nuovi segni di speranza, a volte nascosti, ma importanti, per scrollarci di dosso la sonnolenza verso il prossimo. La povertà è una questione di giustizia, prima che di carità, davanti alla quale non possiamo non lasciarci interrogare e rimanere indifferenti. Nel nostro territorio sono molte le iniziative di carità e, tuttavia, come comunità non possiamo sentirci a posto – ha concluso -. Proseguiamo in questi percorsi di fiducia e perseveranza; ciò che abbiamo visto e vissuto con i poveri va conosciuto da tutti”.
Foto: FotoFilm TV
Francesca Gagno, La Vita del Popolo, n. 45 del 23/11/2025





















