Alla mensa di Abramo - CARITAS TREVISO

Alla mensa di Abramo

“Come il cibo nella sua peculiarità crea comunione, così ciascuno nella sua diversità è ricchezza per l’altro

 

Sabato 19 giugno, all’interno del Festival Biblico, si è vissuto in Casa della Carità un pasto fraterno, chiamato “Alla mensa di Abramo”. Nella Casa della Carità c’è una mensa che ogni sera offre ristoro e una cena a quanti si trovano in difficoltà. In questo luogo di condivisione, di solidarietà, di relazioni si è voluto consumare un pasto di fraternità tra persone di cultura, storia e appartenenza religiosa diversa. È stato un momento di convivialità e di fraternità semplice attraverso piatti tipici: cous cous d’agnello (tradizione islamica – Tunisia); thiebou yapp – riso con manzo (tradizione islamica – Senegal); sarde in saor (tradizione cristiana cattolica legata al territorio veneto); involtini di riso e verdura e torta salata (tradizione cristiana ortodossa – Moldova); pinza (tradizione cristiana cattolica legata al territorio veneto). Attraverso il semplice gesto di condivisione del cibo, si è voluto mettere in evidenza che percorsi di fraternità, come ricorda papa Francesco, non sono solo auspicabili, ma sono la nostra diversità. Come il cibo nella sua peculiarità crea comunione, così ciascuno nella sua diversità è ricchezza per l’altro. La tavola è simbolo di un processo che ci coinvolge tutti nel valorizzare le diversità e accorciare le distanze, riconoscendoci reciprocamente fratelli.

Elementare e universale. Semplice e complesso. Contemporaneo e tradizionale. Unico e sacro. Dentro al cibo, e attorno alla tavola, ci sta il mondo. Con tutto il suo caleidoscopio di colori, sfaccettature, narrazioni. A qualsiasi latitudine accada, in qualsiasi posto ci si trovi, in qualsiasi epoca si sia vissuti, a qualsiasi tavola si sia seduti ogni gesto, anche il più povero e quotidiano, porta con sé una storia ed esprime una cultura. Attorno alla tavola si mangia e, al tempo stesso, si dialoga, si mettono insieme esperienze e differenze, si trova un accordo o ci si riconosce nelle reciproche disuguaglianze. Attraverso il cibo passano gusti e sapori, ma anche storie e saperi. Attorno al cibo possiamo scoprire la nostra storia personale e, insieme, quella della collettività. Esso è conoscenza, incontro e, prima di tutto, condivisione. Preparazione, assunzione, condivisione del cibo non sono altro che la grande metafora della vita. Ogni volta inedita. Tutte le volte carica di sorpresa e stupore. Nel cibo pronto sulla tavola, sia esso un piatto stellato che una semplice frittata con le erbette raccolte nei campi, possiamo scorgere una serie contagiosa di gesti d’amore.

Questo semplice pranzo ci ha ricordato l’importanza della fraternità e di una convivialità che siamo chiamati a vivere nella prospettiva che tutti abbiano la possibilità di nutrirsi di quel pane necessario per la vita propria e delle generazioni che verranno. La convivialità e la fraternità sono le strade che ci possono permettere di vincere le diseguaglianze, le fratture sociali e intergenerazionali. A tal proposito mi sembrano molto stimolanti alcuni tratti della seguente riflessione di Enzo Bianchi.

ll luogo più familiare all’essere umano fin dall’antichità, il luogo dove ancora oggi è possibile esercitare quotidianamente la condivisione del cibo è la cucina, preludio indispensabile affinché la tavola si trasformi da arredo in strumento di comunione. Cucinare e condividere il cibo a tavola, infatti, sono azioni umane, solo umane, non conosciute dagli altri esseri viventi sulla terra. Sono, di fatto, umanesimo, perché chiamano e richiamano uomini e donne, convocano vegetali, animali e anche minerali (il sale…) e cantano il sapore del mondo. E tutto questo in un ritmo umano: non sempre si cucina allo stesso modo! C’è la cucina feriale, in cui ci si nutre con gioia ma nella sobrietà e nella frugalità; c’è il pasto, il banchetto che interrompe la ferialità dei giorni per dire l’insperabile, per celebrare ciò che accade poche volte e per grazia; c’è il pasto del bambino che abbisogna di cibi a lui adeguati; c’è il pasto per l’anziano, che richiede una misura e una leggerezza… Chi cucina ha anche l’arte di differenziare i pasti, perché c’è un pasto per ogni momento sotto il sole.

Ma il preparare da mangiare si intreccia con la dimensione spirituale e sociale della condivisione: come dimenticare che c’è gente che non conosce il pasto perché ne è priva e ha fame? La terra che ci nutre, certo, ma allora come mai molte persone, un sesto della popolazione mondiale, conoscono miseria, fame e non sanno cosa sia la cucina? Rischiamo di «banchettare lautamente ogni giorno», come il ricco della parabola di Gesù, e di non vedere quanti Lazzari restano fuori (cf. Lc 16,19 ss.) della tavola della terra. Eppure questa tavola dovrebbe essere un convivium per tutti e non dovrebbe escludere nessuno! Certo, uomini e donne nel mondo hanno bisogno non solo di pane, ma di tanti cibi per vivere (cultura, igiene, solidarietà, libertà, dignità), ma se non riescono neppure a vivere per mancanza di cibo, allora la loro vita non ha prospettiva né speranza.

Nella Bibbia, il grande codice della nostra cultura, all’inizio della storia dell’uomo il primo gesto di Dio è dare nutrimento a tutti. Dunque cibo per tutti, non solo per alcuni, non per chi si accaparra gli alimenti per sé e li nega agli altri, perché in questo caso è come se si tornasse a uccidersi a vicenda, a mangiarsi a vicenda. Pensiamoci bene: non permettere all’altro di mangiare, per mangiare meglio e di più noi, equivale a nutrirci della sua stessa carne, la carne dei poveri! Nutrire se stessi, dimenticando la fame degli altri, dimenticando le generazioni future che abiteranno la terra, questa terra che è l’unica per noi umani, è uno scandalo, una vergogna! La terra – dovremmo ricordarlo – è di Dio (cf. Es 19,5; Lv 25,23), il che significa che è nostra, ma nel senso che è di tutti: tutti ne siamo custodi, tutti coltivatori, tutti nutriti da essa, senza diritto di prelazione per nessuno!
Che cosa allora, più del cibo, è strumento di comunione? La prima dimensione del condividere, della comunità, è il pane mangiato insieme che ci rende compagni (da cum-panis), e stare insieme alla tavola del mondo è la nostra prima vocazione, perché è quella che ci consente di vivere.

22 giugno 2021

 

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