Migranti morti in mare: una tragica contabilità che sembra non volersi arrestare. Solo nei primi otto mesi del 2014, si calcola che siano state circa 2.000 le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa navigando il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. Iniquità, conflitti sociali e militari, ideologie che producono violazioni dei diritti umani, tirannie che comprimono i diritti civili sono i fattori che determinano il costante aumento dei flussi di profughi. A tutto ciò l’Europa risponde con un dibattito confuso, fazioso, ammantato da una terminologia allarmistica: basita per le migliaia di morti, ma incapace di reagire perché vittima di una idea anacronistica di territorio e di confine.
In Italia, negli ultimi mesi, a queste contraddizioni di fondo si è aggiunto un paradossale, variegato, e per certi versi inedito, fronte politico-culturale. Esso ha decretato il fallimento dell’operazione Mare Nostrum, omettendo di ricordare cosa avveniva prima, e quali drammi l’inerzia su questo fronte provocasse. Se è vero che duemila persone sono morte in mare nel 2014, è altrettanto vero che oltre 120 mila persone sono state salvate dalla marina militare italiana. Mare Nostrum ha avuto certamente dei limiti, ma ha svelato il contatore dei morti in mare per anni nascosto all’opinione pubblica italiana ed europea. Ha pertanto reso possibile l’apertura di un confronto pubblico sulla meccanica di questo fenomeno, prima celato dalla “macelleria” libica.
In questo momento l’Europa sembra voler contrapporre un’unica ed ossessiva soluzione: individuare forme di contenimento dell’ingresso dei profughi. Si prova inutilmente a blindare i varchi d’accesso, invece di pensare a sviluppare interventi di politica internazionale capaci di aggredire alla radice le cause delle migrazioni. Triton, l’operazione internazionale che sostituirà Mare Nostrum, è paradigmatica. Si tratta, infatti, di una prospettiva assolutamente inadeguata rispetto all’esigenza di immaginare una strategia pluriennale non di mero contenimento, ma di presa in carico effettivo del fenomeno migratorio. E’ necessario invece sviluppare un pensiero ed un’azione coerenti, capaci di considerare le implicazioni politiche, economiche, di cooperazione allo sviluppo e di intervento in emergenza.
L’immigrazione è un’opportunità ed una sfida, se si vuole costruire una visione strategica comune, estesa all’intero continente. Se gestita come si deve, si rivela fonte di ricchezza per le nostre società ed economie: è il presupposto per gestire in modo convincente e aperto l’immigrazione legale e l’integrazione, e per lottare contro l’immigrazione “clandestina”, pur continuando a sostenere valori universali – la protezione dei rifugiati, il rispetto della dignità umana, la tolleranza- tradendo i quali tradiremmo il meglio di noi stessi.
Tratto da Italia-Caritas