Sono le 18 di una piovosa domenica di fine agosto e da una porta di una casa di riposo in una cittadina, Banja Luka, pressoché sconosciutami della Bosnia settentrionale mi viene incontro un ragazzo sorridente che accoglie me e gli altri ragazzi italiani partiti per questo scambio. L’imbarazzo è tanto e neppure le presentazioni, in un inglese rispolverato per l’occasione, sembrano scacciare la sensazione di spaesamento che provo, soprattutto, venendo a sapere che per i prossimi giorni condividerò una stanza con due ragazze bosniache.
Nei giorni seguenti lavoriamo e ci confrontiamo tra workshop e simulazioni riguardanti l’Europa e la sua identità, il dialogo interculturale e interreligioso, migrazioni e xenofobia, tutti temi del campo, chiamato scuola di pace. Grazie ad una brava traduttrice, che era anche una degli educatori, abbiamo discusso attivamente e provato sulla nostra pelle quella che poteva essere la difficoltà di comunicazione o di vivere in comunità cercando di andare d’accordo. Infatti, alcune simulazioni riguardavano il cercare di costruire un rifugio tutti insieme, però eravamo divisi in popolazioni diverse con caratteristiche ed esigenze diverse che ci ha portato a non riuscire a concludere la costruzione del rifugio, anzi, alla fine ognuno ha fatto di testa propria senza cercare compromessi. Riflettendo, poi, è stato avvilente vedere che avevamo agito proprio con quei comportamenti che condannavamo. Stesso peso emotivo ha avuto la simulazione preparata da noi ragazzi italiani che consisteva in trovare una soluzione per una situazione di emergenza per due città che avrebbero dovuto accogliere all’improvviso 300 migranti. Anche in questo gioco ognuno di noi interpretava un ruolo e, casualmente, io ero un commerciante contro questi profughi. È stato veramente pesante ed interessante, da un punto di vista psicologico, come ripetendo insulti e luoghi comuni verso questi migranti alla fin fine eri quasi convinto di quello che stavi dicendo e come facilmente in due o tre ci si faceva forza e si riusciva quasi a sovrastare le altre opinioni. Infatti, mi ha aiutato a capire, in parte, come alcune situazioni in paesi europei e in Italia siano potute accadere con gran forza.
Per staccare da questi tre intensi giorni di lavori di gruppo siamo usciti ad incontrare dal vivo realtà di povertà con attività di volontariato. Sarà stata l’intensità dei giorni passati, ma ho accolto con gioia e voglia di conoscere nuovi posti e sono stata ripagata. In particolare, la giornata passata con la comunità polacca in un paesino perso per le colline di Banja Luka è stato molto toccante per il livello di solitudine che provano le persone che vivono lì e lo spopolamento progressivo in cerca di possibilità migliori. Il nostro compito era di costruire una parte di un parco, progetto per cercare di attirare i giovani a rimanere nella comunità.
Invece, gli ultimi giorni di campo sono stati dedicati alla visita di posti che hanno contributo a dare un senso di completezza al viaggio. Vedere, respirare negli stessi luoghi che vent’anni fa sono stati teatri di una guerra, ha concretizzato i discorsi sulla cooperazione, sul dialogo, la paura del diverso e la sua accettazione. L’immagine che mi è rimasta più impressa, però, è stato il cartello giallo che svettava in mezzo a un campo che segnalava la presenza di un campo minato. Passarci accanto, seppur in sicurezza, mi ha portato a chiedermi come potesse essere la vita di un ragazzo a cui costantemente viene ricordato il male di un conflitto. Forse la mia domanda non troverà mai risposta, ma di sicuro, è meglio chiedersi, cosa posso fare io per aiutare seppure nel piccolo? Quesito comune a tutti i ragazzi partecipanti del campo che, nonostante fossero appartenenti a gruppi etnici-religiosi che si sono combattuti vent’anni fa, erano qui per sperare in futuro migliore.
E quindi di questa scuola di pace mi rimarrà impresso questo, la voglia di conoscere, di mettersi in gioco e che il nostro miglior difetto è voler non restare a guardare il mondo come spettatori passivi, ma diventare protagonisti del nostro tempo.