Tratto da Agensir
Una laurea in ingegneria per Beniam, 34 anni, fuggito notte tempo dal suo Paese, l’Eritrea, dove ha lasciato moglie e figlio di tre anni. L’arrivo a Treviso nei giorni scorsi, accolto in una struttura della Caritas Tarvisina, e poi l’abbraccio con il fratello, che vive in Svizzera. Non si incontravano da 12 anni. Un’esperienza possibile, quella di Beniam, grazie al corridoio umanitario aperto con la Libia, con l’impegno della Cei e del governo italiano. L’ingegnere eritreo è, infatti, uno dei 160 profughi giunti, nei giorni scorsi, all’aeroporto di Pratica di Mare (Pomezia). Con lui sono arrivati a Treviso anche altri due ragazzi eritrei, Muller e Alemajou, 18 e 20 anni, detenuti nei campi libici. Tutti e tre sono fuggiti dal Paese di origine a causa della dittatura. Dopo aver raggiunto il Sudan, hanno continuato il loro viaggio verso la Libia, dove sono rimasti diversi mesi nei centri di detenzione per gli immigrati. Il volo verso l’Italia li ha allontanati da una realtà che loro stessi definiscono “terribile”. Beniam per gli altri due ragazzi è punto di riferimento. Parla quattro lingue, fa da mediatore, si prende cura di loro. L’incontro con il fratello, che ha contattato telefonicamente subito dopo l’arrivo nella struttura, ha emozionato gli operatori della Caritas. “Da una parte, lui in salute, in carne, ben vestito; dall’altra, Beniam, provato dalla fatica del viaggio, dal sole e dal deserto. È stata una grandissima gioia vederli abbracciare – racconta al Sir Stefania Stipitivich, che si occupa della prima accoglienza per Caritas Tarvisina -. Il loro incontro è continuato il giorno dopo, quando sono andati a visitare assieme Venezia”. L’operatrice racconta dell’uomo come di una “persona di cultura”. “Mi ha spiegato che in Eritrea sono ancora presenti prestiti linguistici dall’italiano. Mi ha detto che a colazione mangiano formaggio e mortadella e li chiamano così”. I tre profughi hanno già effettuato i primi controlli medici, che continueranno nei prossimi giorni. “Li accompagneremo nella vita quotidiana con lezioni di lingua e laboratori, che fanno parte dei programmi che mettiamo a disposizione di tutti i nostri ospiti in modo che la persona possa rendersi autonoma. Li aiuteremo anche a richiedere lo status di rifugiati – spiega l’operatrice -. Rispetto agli altri venti ragazzi che accogliamo nelle strutture di prima accoglienza e che hanno attraversato il Mediterraneo su un barcone, Beniam, Muller e Alemajou sono meno provati, più tranquilli”.