Ciao a tutti, sono Martina e quest’anno sto svolgendo l’anno di volontariato sociale in Caritas.
Durante questi primi mesi di servizio ho avuto l’opportunità di spendere il mio tempo con persone bisognose del nostro territorio, persone che stanno vivendo difficoltà personali, economiche e psicologiche e di cui Caritas si prende cura nel suo lavoro quotidiano.
In questo piccolo spazio mi piacerebbe condividere l’esperienza che sto vivendo nella relazione con i senza fissa dimora, nelle mie ore di servizio presso il Centro d’ascolto e alla mensa.
Innanzitutto, vorrei condividere le motivazioni che mi hanno spinta a mettermi in gioco in questa esperienza. Tutto parte dal desiderio e dalla volontà di incontrare, di dare un nome e un volto alle persone che abitano la nostra città e che spesso vengono delimitate in categorie stagne, ricche di pregiudizi, pensando che avendoli così etichettati non abbiano nulla a che fare con noi. È così che ho voluto rompere queste “certezze” indotte dalla società e conoscere personalmente coloro che generalmente vengono definiti come “senza fissa dimora”, “poveri”, “immigrati”.
I pregiudizi nei confronti di queste persone sono innumerevoli e portano quasi ad una disumanizzazione del loro essere. Siamo portati a pensare che siano persone senza dignità, sporche, fallite, pigre, nullafacenti. In verità, quello che sto sperimentando nell’incontro con queste persone è che di fronte a me trovo una persona, un umano, con tutte le sue fragilità e con tutti i suoi punti di forza ed anche io mi metto in gioco con i miei limiti e con la mia volontà di intraprendere questo dialogo.
Personalmente, credo che lo sguardo al prossimo dovrebbe sempre essere libero da giudizi, accogliente, caritatevole. Solo in questo modo avremo un cuore pronto ad ascoltare e accogliere ciò che l’altro realmente ci vuole comunicare.
L’approccio in ogni caso non è semplice, si tratta di una relazione asimmetrica, in cui sono consapevole di trovarmi in una posizione di vantaggio rispetto all’altro. Nel mio pormi in ascolto cerco di non guardare alle mancanze, ma penso che come esseri umani, invece, sono molte più le cose che abbiamo in comune di quelle che non abbiamo. Tutti abbiamo un nome, un cuore, un corpo, dei bisogni, una famiglia, una fede. Questo mi mette in comunione con l’altro e mi spinge a trovare una chiave di lettura comune della realtà.
È in questo servizio che ho capito che il “trattare con cura” faccia veramente la differenza nella relazione. Di fronte alle fragilità, alle sensibilità di queste persone siamo chiamati a stare e ad accogliere in modo amorevole ciò che l’altro ci comunica e soppesare ogni parola e ogni gesto poiché, almeno con noi, queste persone possano sentirsi libere da sguardi schivanti e giudicanti.
Sembra difficile al giorno d’oggi, in un mondo in cui ognuno ha deciso di farsi strada da solo, provare empatia, emozionarsi per l’altro, condividere una battaglia comune. Quello che vivo ogni giorno qui in Caritas combatte le logiche della società attuale, qui sperimento solidarietà, sostegno, compassione (“patire insieme”), lavoro di squadra. Credo che sia lo scopo di una comunità sana quello di prendersi cura dei propri “fratelli” in difficoltà e di accompagnarli affinché possano vivere una vita degna, o per lo meno il loro essere abbia sempre dignità.
Fidarsi del prossimo non è sempre facile, ma è proprio questa la sfida, comprendere la diversità di ogni persona e capire che ognuno, nei suoi limiti umani, ha la possibilità di cadere e di rialzarsi di nuovo. La fiducia è un piccolo segno di speranza, una goccia che può aiutare queste persone a credere ancora in sé stessi.
Martina Fontebasso
AVS Caritas Tarvisina 2021-2022