Chi non ha una casa spesso non ha neanche la possibilità di votare, eppure una soluzione ci sarebbe anche se molti Comuni non la concedono. Per quanto se ne parli molto poco, in Italia le persone senza fissa dimora hanno diritto soggettivo alla residenza presso un Comune –al di là dell’effettiva disponibilità di una casa – con tutti i diritti che ne conseguono, tra cui quello di voto.
In vista delle elezioni politiche ormai passate, in un comunicato stampa il Sindaco di Ravenna ricordava agli elettori iscritti in via dell’Anagrafe come cittadini ‘senza fissa dimora’ che potevano esercitare il diritto di voto recandosi a un preciso seggio allestito, insieme ad altri, presso una scuola della città.
Oggi sono circa duecento i Comuni italiani che hanno predisposto una via fittizia al loro interno (l’elenco si può visionare sul sito della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora http://www.fiopsd.org/elenco-vie-fittizie/), una cifra che racconta la buona pratica di alcuni e la meno buona pratica di altri.
Un’avvertenza dell’Istat del 1992, che a sua volta riprende la legge anagrafica n. 1228 del 24 dicembre 1954, spiega che “se il senza fissa dimora non ha un recapito o un vero e proprio domicilio nel Comune, ma elegge domicilio al solo fine di chiedere ed ottenere l’iscrizione anagrafica, come suo diritto, si presenta il problema dell’indirizzo da indicare negli atti anagrafici. In tal caso si ravvisa la necessità che anche in anagrafe venga istituita una via, territorialmente non esistente, ma conosciuta con un nome convenzionale dato dall’ufficiale di anagrafe”. Il dispositivo è quello della via fittizia, un indirizzo costruito ad hoc dalle amministrazioni locali, che non esiste materialmente, ma che assume comunque valenza giuridica: l’iscrizione all’ anagrafe comunale è un diritto soggettivo e non concessorio riconosciuto dal nostro ordinamento (Legge anagrafica, n. 1228 del 24.12.1954) a tutti i cittadini che ne hanno facoltà.
L’inesistenza della via fittizia nel 75% dei Comuni italiani con più di 15mila abitanti, unito al silenzio nelle scorse settimane della maggior parte delle amministrazioni locali sul tema – a parte l’eccezione di Ravenna – rappresenta una negazione del diritto di voto per i senza dimora.
Come spiega il presidente dell’associazione Avvocati di strada, “in Italia si perde il diritto di voto per incapacità civile, per effetto di una sentenza penale irrevocabile, per particolari casi di indegnità morale. E, anche se non è scritto nella Costituzione, se si vive per strada”. Lo scorso 4 marzo decine di migliaia di persone, a causa della loro povertà, sono state escluse dal partecipare alle votazioni. Certamente aspettarsi una partecipazione di massa alle elezioni da parte di queste persone, gente che ha perso molte cose, è sfiduciata, demotivata, è una missione difficile. Ma non è un motivo valido per non garantire un diritto e perdere un’occasione per sensibilizzare non solo le istituzioni ma anche l’opinione pubblica a vedere queste persone come cittadini e a essere consapevoli che solo attraverso il riconoscimento dei diritti civili di base si può creare un percorso di inclusione reale.