Aggiornamento al 10 ottobre 2014
EBOLA ESISTE, è una drammatica realtà, un’emergenza sanitaria e ormai una crisi umanitaria regionale nel continente africano …. ma Ebola riguarda anche noi.
Non possiamo permettere che il problema non ci riguardi, o ci preoccupi solo qualora si verificasse un primo caso anche in Italia. Ci riguarda già, riguarda tutti.
Ma cosa possiamo fare concretamente?
Innanzitutto, unendoci al Santo Padre, la preghiera per le persone colpite, la popolazione a rischio di contagio e per coloro che stanno operando sul posto. Secondo, è possibile contribuire agli interventi delle Caritas locali e a quelli futuri sul fronte anche della ripresa socio-economica con offerte in denaro alla Caritas della propria diocesi. Occorre evitare raccolte di viveri e medicinali che sarebbero di difficile gestione e comporterebbero più svantaggi che vantaggi.
Solo a titolo esemplificativo si indicano i costi unitari di alcuni degli interventi in atto.
- 250 € circa il costo delle attività di sensibilizzazione svolte da 1 animatore di comunità per 4 mesi
- 10 € per un kit igienico-sanitario ad una famiglia (secchio dotato di dispositivo con rubinetto, sapone, cloro e una brochure di sensibilizzazione)
- 130 € per un kit igienico-sanitario da installare in un luogo pubblico ad alta frequentazione
- 80 € per coprire il bisogno minimo alimentare di un mese di una famiglia di almeno sette persone
Cos’è ebola?
Ebola è un virus per cui non ci sono né vaccini né cure, ha un tasso di letalità attualmente attorno al 50% ma può giungere fino al 90%. E’ stato scoperto negli anni Settanta nella Repubblica Democratica del Congo e mai prima si era manifestato in Africa Occidentale. I vettori di trasmissione primari sono generalmente pipistrelli, scimpanzé, roditori, mentre la trasmissione tra esseri umani avviene attraverso liquidi organici. Non basta il contatto fisico ma è necessario che i liquidi di persone infette abbiano una porta di accesso nell’organismo sano. Alcuni esempi di fattori di contagio sono: toccare sudore, saliva, sangue o escrementi di persone infette e poi toccarsi bocca, naso o occhi; baciare o avere rapporti sessuali con una persona infetta; essere punti da una siringa usata per curare un paziente con ebola; pulire il cadavere di una persona morta per ebola. Non si trasmette con le punture di zanzare. E’ necessario quindi un contatto abbastanza profondo con persone che hanno già i sintomi della malattia (finché il virus non si manifesta con sintomi non può trasmettersi se non attraverso i trapianti di organi o con sangue). E’ evidente che la categoria più esposta è il personale medico a contatto con malati di ebola. Molto più difficile il contagio tra esseri umani in condizioni normali. Il periodo di incubazione della malattia è di 21 giorni.
Perché una simile diffusione?
I sistemi sanitari in questi paesi, ed in particolare nelle aree rurali, sono fragili, spesso privi delle attrezzature fondamentali e dei medicinali di base per il trattamento dei malati e pochi sono i medici rispetto alla popolazione. Nei centri sanitari e negli ospedali mancano i mezzi fondamentali per impedire il contagio e le infezioni: acqua, disinfettante, camici, guanti protettivi, mascherine. Anche per questo, oltre che per l’impreparazione ad affrontare un’epidemia mai comparsa prima in Africa Occidentale, molti operatori sanitari sono stati infettati, hanno contagiato altri e sono morti.
Guinea, Liberia e Sierra Leone si collocano agli ultimi posti nell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite: nonostante i miglioramenti nei dati economico-finanziari degli ultimi anni, più del 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà assoluta cioè con meno di due dollari al giorno.
Il fattore culturale
Ebola era un virus sconosciuto in Africa Occidentale fino a pochi mesi fa. Molte comunità non hanno ammesso l’esistenza del virus, né accettato le misure igienico-sanitarie raccomandate o imposte per frenare l’espansione fuori controllo, quali disinfezioni di case di contagiati e luoghi pubblici. Ci sono state minacce alle autorità civili e rivolte anche contro organizzazioni internazionali impegnate nella lotta all’epidemia. Alcuni non l’hanno considerato un rischio reale, sottovalutandone la portata fino a quando la situazione non è andata completamente fuori controllo. Per altri ebola è qualcosa di importato dall’esterno, dagli stranieri, o addirittura dai governi. Per molti è “stregoneria”, un virus mandato dal diavolo, una punizione.
Le tesi sono molteplici, ma la maggior parte conducono a non accettare le contromisure in atto e le precauzioni igienico-sanitarie, preferendo la fuga nella foresta o nascondere il malato in casa, piuttosto che riferirsi al centro medico più vicino al villaggio.
Il punto cruciale riguarda l’isolamento della persona contagiata: in questa parte di Africa la società si fonda sul concetto di “comunità“, che supera di gran lunga quello di “individuo”. Si vive insieme, si condividono insieme le fasi più importanti della vita, le gioie e i dolori, il malato non può restare solo, ma deve essere assistito dalla famiglia e dalla comunità, fisicamente, psicologicamente, moralmente, gli si deve stare accanto. L’isolamento impedisce tutto ciò, anche per il parente più prossimo. Lo stesso vale per i riti funebri, particolarmente sentiti nella cultura locale, per cui l’addio al defunto è un evento familiare e comunitario, in cui il corpo viene toccato, accarezzato. Con ebola tutto questo è proibito, perché il corpo del malato deceduto è ancora altamente contagioso. Abbandonare un defunto, non onorarlo con rito funebre e con il conforto religioso o dei riti tradizionali è uno choc culturale difficile da capire per le comunità locali, le quali per ovviare a questo spesso nascondono il malato o fuggono. È quanto mai necessaria, allora, la mobilitazione congiunta di leader religiosi, tradizionali e saggi per far capire alle popolazioni il senso di certe raccomandazioni e di certi divieti e portare conforto e, ove possibile, razionalità. Per questa ragione il ruolo degli operatori pastorali è fondamentale. Lo Stato e organizzazioni internazionali, da soli, non bastano.
La risposta della rete ecclesiale
Le Chiese locali sono impegnate sin dagli inizi della crisi a fianco delle popolazioni, in coordinamento con i governi e le organizzazioni nazionali e internazionali presenti in loco e impegnate nella lotta all’ebola. Attraverso centri sanitari e ospedali cattolici si fornisce assistenza alle popolazioni, sia ai casi di ebola, sia per le patologie ordinarie
Tre sono i settori principali di intervento delle Caritas:
- la sensibilizzazione a livello comunitario sul virus attraverso animatori locali e leader religiosi e civili: cos’è, come prevenirlo, le raccomandazioni igienico-sanitarie da seguire, come identificarlo, cosa fare di fronte a casi sospetti, creazione di cellule di allerta precoce;
- La distribuzione di kit igienico-sanitari nelle famiglie e nei luoghi pubblici ad alta frequentazione: cloro, sapone, secchi dotati di rubinetto per il lavaggio e la disinfezione delle mani, oltre a kit di protezione per i lavoratori e operatori di luoghi pubblici quali mercati, stazione di taxi, grandi uffici pubblici, luoghi di culto (tute, mascherine, stivali, guanti, spazzoloni, disinfettanti per la disinfezione dei servizi igienici);
- La sicurezza alimentare: assistenza alle famiglie che hanno perso i cari, con priorità per i minori orfani, le famiglie con portatori di handicap e con donne in gravidanza o minori di cinque anni e alle famiglie in quarantena, che non possono quindi spostarsi dalle case per provvedere ai bisogni essenziali.
Nei tre paesi colpiti stanno operando più di 500 animatori locali e più di 500.000 persone hanno già beneficiato delle sensibilizzazioni nelle famiglie e nelle comunità. In Guinea sono stati inoltre mandati in onda 2600 spot radio in otto lingue locali attraverso otto radio rurali, sono state organizzate 13 emissioni radiofoniche interattive e quattro tavole rotonde trasmesse anche dalle reti televisive; sono stati inviati 1 milione di sms di sensibilizzazione e altrettanti saranno inviati prossimamente. In Guinea e Sierra Leone 53.000 famiglie hanno beneficiato di kit igienico-sanitari di prevenzione, con la distribuzione di circa 100.000 bottiglie di cloro e 300.000 pezzi di sapone. Sono stati inoltre installati in Guinea 170 dispositivi di igiene e prevenzione nei luoghi pubblici e sono stati forniti materiali di protezione per 600 lavoratori. Nelle prossime settimane si stima di raggiungere almeno altre 15.000 famiglie con materiali di disinfezione e prevenzione. Nell’ambito della sicurezza alimentare, l’Appello di Emergenza lanciato da Caritas Guinea prevede di fornire alimenti di base per un mese a 1.250 famiglie (riso, olio, zucchero, carne in scatola, condimenti vari), mentre in Sierra Leone si prevede un’assistenza ad almeno 1.500 famiglie in quarantena.
Per sostenere gli interventi in corso, si possono inviare offerte a:
Caritas Tarvisina
Via Venier, 50 – 31100 Treviso
Telefono: 0422-546585
specificando nella causale: “Emergenza Ebola”
versamento in banca
Credito Trevigiano
Iban: IT57H0891712000029003332341
Intestato a Carità Diocesana di Treviso – ONLUS
versamento in posta
c/c n. 61962726
Intestato a Carità Diocesana di Treviso – ONLUS
Effettuando il versamento tramite c/c bancario o tramite bollettino postale alla Carità Diocesana di Treviso Onlus, l’importo sarà deducibile, per effetto dell’art. 1 D.L. 35 del 2005, dalla dichiarazione dei redditi