A margine del primo incontro Bilanci di Pace di giovedì 16 gennaio 2025 abbiamo approfondito con Silvia Sinibaldi, vice direttrice di Caritas Italiana, alcuni temi del Rapporto, le iniziative in atto e gli sguardi da avere rispetto ai conflitti. Di seguito per un approfondimento personale e di comunità quanto Silvia ci ha condiviso.
Impegno di Caritas Italiana nei conflitti. Caritas Italiana sempre cerca di fare del proprio meglio per stare al fianco delle popolazioni più vulnerabili sostenute dalle Caritas o dalle Chiese locali o da altri attori in loco affini per stile ed approccio, in tutte le situazioni di conflitto armato, ma anche in tutte le altre situazioni di emergenza che generano bisogni umanitari. Là ove possibile, cerchiamo inoltre di “stare accanto” e di fare la nostra parte anche appunto nel momento in cui si spengono i riflettori sul contesto specifico, che rischierebbe quindi di divenire appunto repentinamente dimenticato.
La rete mondiale di Caritas Internationalis ci offre diversi modi di dare supporto. Un supporto tangibile ma, per certi versi, un po’ “distante” è quello del mero sostegno economico. Questo avviene attraverso il sostegno agli “appelli d’emergenza” lanciati dalle Caritas nazionali dei Paesi vittime di conflitto, per sostenerli sarà dunque utile fare una raccolta fondi su scala nazionale – a volte tradotta nelle giornate di colletta nazionale sostenute dalla CEI, soprattutto in caso di emergenze molto acute – ove la generosità delle comunità e delle famiglie italiane si tradurrà in sostegno concreto e di risposta a bisogni ben definiti. Nel caso di alcuni partenariati invece, notoriamente un po’ più solidi per ragioni storiche o di vicinanza, o nel caso di disponibilità di fondi istituzionali che richiedono una presenza più strutturate, il sostegno si traduce anche in appoggio tecnico e/o di accompagnamento di medio periodo, anche prevedendo la presenza di uno o più operatori/operatrici in loco.
Gli operatori Caritas all’estero. E’ questo il caso, attualmente: dell’Ucraina, dove Caritas Italiana è presente con tre operatrici junior – di cui una, Viviana, proprio della diocesi di Treviso – e un operatore senior; della Siria con la presenza di due operatori – di cui uno, Davide, sempre di Treviso! -; della Tunisia, con un’operatrice in loco attenta a tutta la regione del Nord Africa; del Kenya, con un operatore dedicato ai progetti e attività in Africa sub-sahariana, ultimamente molto concentrato su Sudan e Sud Sudan; della Giordania, con un operatore storico di Caritas Italiana, di sostegno a Medio Oriente e Turchia; della Bosnia Erzegovina, Paese in cui Caritas Italiana si è dedicata con costanza e tenacia fin dalla conclusione della guerra della ex Jugoslavia, offrendo supporto anche a tutti gli altri Paesi dei Balcani interessati. Vi è poi un rappresentante a servizio dell’Asia, continente che ha visto per anni la presenza di un altro collega della Diocesi di Treviso, Beppe Pedron. Tutti loro sono le nostre “sentinelle”, testimoni di prossimità in aree lontane, spesso teatro di crisi umanitarie più o meno acute.
Iniziative di Caritas Italiana per il Giubileo. Il Giubileo della Speranza è, innanzi tutto, un’occasione preziosa rilanciare e dare nuova linfa a processi già in essere.
Per questo Caritas Italiana ha voluto porre all’interno della cornice giubilare l’esperienza dei corridoi umanitari, universitari e lavorativi, in risposta all’appello di Papa Francesco, che nella bolla giubilare specifica “Non potranno mancare segni di speranza nei riguardi dei migranti, che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie” (Spes non Confundit, 13). I corridoi universitari e lavorativi, in particolar modo, aggiungono elementi di dignità quali il proseguimento di percorsi di studio o l’ingresso nel mondo del lavoro, mattoni fondanti della costruzione o ricostruzione del sé e in vista di una possibile riconciliazione con la società comunità, sia che sia quella di origine, che quella che accoglie.
Sempre in quest’ottica avvieremo il progetto di microcredito “Mi fido di noi”, destinato a persone in condizioni di fragilità nei nostri territori a cui è importante dare fiducia. Sul fronte internazionale, invece, Caritas Italiana in questo 2025 è capofila di un progetto aperto a tutte le Caritas e altre organizzazioni di 12 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, divisi tra Europa e Medio Oriente, e che hanno scelto di percorrere un cammino comune per poter formare operatori sul tema della pace e della riconciliazione, anche in un’ottica di sostenibilità duratura, e con un focus sui giovani, protagonisti di presente e futuro prossimi. Questo progetto è una grande scommessa, che ci da modo di cogliere i segni dei tempi e trasformarli in speranza.
Nell’ottica del “tutto è connesso”, tanto cara al Santo Padre, cerchiamo di custodire la profonda relazione tra sfide globali e fenomeni locali.
Tenere gli occhi aperti. Nel mondo di donatori e attori umanitari vi è ormai un’importante consapevolezza rispetto al fatto che le emergenze più acute dovute a conflitti armati diventano sempre più lunghe. In gergo si parla di protracted crises che, per natura, si discostano dai più tradizionali meccanismi di risposta, fondati su progettualità di breve periodo, generalmente entro l’anno.
Come citato nel rapporto Caritas, questo e altri dati – tra cui il ruolo dei media divenuti parte integrante delle strategie militari, contraddistinguono le guerre di questo tempo. Sono guerre sempre più caratterizzate dalla combinazione dell’utilizzo di armi convenzionali, con strumenti politici, economici, e informatici, in cui sempre meno gli attori multilaterali riescono ad incidere in maniera risolutiva. Questa difficoltà a trovare soluzioni di pace “durature” fa sì che vi siano situazioni di guerra “ad intermittenza”, oppure “nomade” ad alta e bassa intensità in terre adiacenti.
Penso al conflitto siriano, probabilmente ora ad un punto di svolta, ma teatro di una guerra in corso dall’ormai lontano 2011; al conflitto in Myanmar, sostanzialmente attivo fin dall’indomani della Seconda Guerra Mondiale; alla Repubblica Democratica del Congo, con una specifica sul Kivu e un allargamento all’intera regione dei Grandi Laghi; al Mali, aggravato dall’intensificarsi dei flussi migratori e della presenza sul campo di diversi attori internazionali in lotta per il potere; all’Etiopia, reduce dal conflitto in Tigray ma, di fatto, teatro di costanti scontri da decenni, sia internamente che, più in generale, con estensione al Corno d’Africa (Somalia e Eritrea). Passando all’America Latina, si può fare riferimento alla Colombia, i cui accordi di pace nascondono il perdurare di una moltitudine di conflitti tra gruppi piccoli ma ben equipaggiati e, soprattutto, ad Haiti, la cui situazione di apparentemente ingestibile fragilità politica si è combinata con disastri naturali come il terremoto del gennaio 2010, che hanno amplificato la lotta per le risorse vitali: l’amarezza di una guerra tra i più poveri dei poveri, per l’appunto.
UN CONFLITTO DENTRO LA NOSTRA SOCIETA’
In occasione della prima serata don Piero Zardo, cappellano del carcere di Treviso da 29 anni, ha portato alcuni frammenti di quotidianità della realtà carceraria, spesso soggetta a stereotipi, paure e pregiudizi.
“Il carcere – ha esordito don Piero – è una realtà che sembra appaltata, lasciata lì per conto suo, mentre è una realtà profondamente del nostro territorio, come ogni alta realtà in cui ci sono persone. Il carcere, probabilmente è un qualcosa che passa per scontato, non è, non ci interessa, non ci tocca, non anche deve toccarci, perché sta a vedere se cominciamo a metterci il naso su certe cose, poi non riusciamo magari a trovarci, a capire come fare, ecc.” Proseguendo nella sua riflessione ha ricordato come sia una “situazione conflittuale” vicina che “riflette esattamente quello che capita nelle nostre comunità” e che viene spesso rimossa dalla consapevolezza collettiva – che nasce dalla dicotomia tra chi è ‘dentro’ e chi è ‘fuori’ dalla società, tra chi è ‘giusto’ e chi è ‘sbagliato’ secondo i modelli sociali – sia durante il periodo della pena, sia, soprattutto, all’uscita dalla condizione di detenuti, nel momento di un reinserimento nelle relazioni e nella vita quotidiana. “ L’esperienza del carcere è simile ad una esplosione “in cui gli equilibri saltano tutti, anche quelli che prima erano consolidati”. Saltano gli “equilibri affettivo, economico, relazionale”, così come avviene una guerra tradizionale con le armi. “C’è qualcosa di ignoto che viene avanti” e per questo è importante prenderne consapevolezza per sostenere, in vari modi, i familiari dei detenuti e dare nuove possibili per una rinascita a chi ha scontato la pena una volta che ne è uscito.
Per chi volesse approfondire la testimonianza di don Piero può vedere la videoregistrazione della prima serata di Bilanci di Pace 2025.
Per approfondimenti:
Enrico Vendrame