QUELL’ORIGINARIO CHE CI SUPERA. - CARITAS TREVISO

QUELL’ORIGINARIO CHE CI SUPERA.

 

Qualche giorno fa, uno dei consueti colloqui con un ospite della Casa della Carità mi ha toccato in maniera particolare. In ogni relazione ci sono delle cose a cui tengo in modo particolare e la cui mancanza alternativamente mi ferisce o mi indispone. Una di queste sono le bugie. Grandi o piccole, bianche o nere che siano. Non è un’istanza moralista quella che mi rende sensibile a tale questione – anche perché non sono affatto “senza peccato” e mi è capitato di dirne alcune nella mia vita – quanto il confidare nella forza liberante della verità, anche quando dirla (o dirsela) può costare fatica o faccia paura.

Tornando all’episodio con l’ospite, la prima parte del colloquio è stata una pantomima del detto “le bugie hanno le gambe corte”, in questo caso “i giorni contati” visto che si protraevano dall’inizio della settimana. Non è la prima volta in cui mi capita di confrontarmi con situazioni simili e sono consapevole che una vita di fatiche, relegata ai margini della società, ai limiti della sopravvivenza, possa portare una persona ad abituarsi ad usare la bugia come modus operandi, spesso per difendere o non perdere anche il poco che ha: da un posto letto o un altro servizio fino alla propria dignità. Eppure, in quel momento, l’ostinazione a mentire di questa persona mi ha innervosita, anche se, in fin dei conti, davvero volevo che dicesse la verità più per rendere conto a se stesso che non a me o al mio ruolo di operatrice. Ad ogni modo, passata la mia rigidità iniziale, dettata forse anche dal fatto che inconsciamente ritenessi facile – dal mio punto di vista – dire quella verità in quel momento, ho realizzato che varcata la frontiera delle più spudorate bugie, non si può tornare indietro se non per perdere la faccia. E questo per lui non lo volevo: non volevo fargli perdere la faccia, semmai ritrovarla. E questo è quel che ho cercato di fare insieme a lui, nel secondo “round” del colloquio, un’ora dopo.

I poveri hanno la triste propensione a non essere particolarmente gradevoli: chiedono, spesso si lamentano, a volte se ne approfittano, magari vaneggiano o straparlano, non sempre si lavano. Però sono uomini. Titolari come tali di una dignità che non va confusa con il bon ton, la buona educazione, la gentilezza o la pulizia (per quanto molti di loro tuttavia ne siano ben dotati). Il valore dell’essere umano supera i nostri meriti e demeriti. E’ qualcosa di “originario” che ci supera, rendendoci fratelli in umanità.

Probabilmente questa è una delle ragioni che ha spinto Papa Francesco a volere che da quest’anno la Chiesa celebri il 19 novembre la Giornata Mondiale dei Poveri, poco più di un mese dopo la Giornata mondiale contro la povertà, promossa ormai da decenni dalle Nazioni Unite il 17 ottobre. Due giornate, alle porte della stagione fredda, per sottolineare che è doveroso fare battaglie per combattere l’indigenza. Ma solo con la prossimità, solo se ci si affratella con questi fratelli a volte scomodi, tale lotta non rischia di diventare astratta o ipocrita.

Il Papa sottolinea come i poveri siano anzitutto persone da incontrare, accogliere e amare. Forse ci dimentichiamo troppo spesso che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, è stato fissato da qualcuno con amore. Ci siamo sentiti voluti bene, soprattutto quando avevamo più bisogno. Dovremmo fare memoria il più possibile di questa esperienza di misericordia. Magari eravamo tristi, sofferenti, disperati..non potevamo certo essere attraenti, eppure abbiamo sentito che lo sguardo dell’altro ci penetrava con amore. Siamo capaci di fare altrettanto quando guardiamo i poveri che ci interpellano? A vivere una relazione piena con l’altro povero che si sente amato non per pietismo ma perché sente di valere, “si sente bello davanti a Dio e davanti agli uomini e quindi salvato”? In questo incontro – anche in quello raccontato in queste righe – in cui si cerca sempre (tuttavia non riuscendoci sempre) di coniugare l’amore, la bellezza, il dolore, ci sentiamo salvati e liberati tutti. Anche in questo i poveri possono essere una risorsa per noi.


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