Le sfide che attendono la galassia Caritas, alla luce delle lezioni che si ricavano da 50 anni di partecipazione alla costruzione del welfare in Italia
In occasione del 50° anniversario della sua istituzione, avvenuta il 2 luglio 1971, Caritas Italiana ha realizzato un’ampia ricerca, intitolata Dentro il welfare che cambia. 50 anni di Caritas, al servizio dei poveri e della chiesa. La ricerca ha studiato il welfare di ispirazione ecclesiale nel suo complesso, per illustrare e approfondire il contributo della Chiesa italiana alla costruzione, implementazione e promozione del welfare nazionale. E valutare, al contempo, il contributo offerto alla ricerca teologico-pastorale e alla sua evoluzione.
Il rapporto di ricerca è suddiviso in quattro volumi, pubblicati nel sito istituzionale di Caritas Italiana.
Principio fondamentale di qualsiasi riflessione sull’impegno della “rete Caritas” è l’articolo 1 dello statuto di Caritas Italiana, dove sono specificate le sue finalità: «promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica».
A tale riferimento vanno aggiunte le tre vie che il 26 giugno scorso, papa Francesco ha indicato per proseguire il percorso intrapreso: la via degli ultimi, la via del Vangelo e la via della creatività. Questi fondamentali riferimenti illuminano le prospettive per la Caritas emerse dalla ricerca e, in relazione ad esse, anche il contributo che Caritas Italiana e Caritas diocesane possono offrire al Cammino sinodale della Chiesa universale attualmente in corso.
Un primo aspetto riguarda la funzione dell’ascolto, atteggiamento fondamentale per la pastorale della carità. È il punto di partenza, che al tempo stesso dà una base di concretezza alle azioni e richiede la disponibilità a lasciarsi toccare in profondità. La capacità di ascolto è una dimensione fondamentale dello stile che papa Francesco stesso chiede a tutta la Chiesa di assumere: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto». Ascolto della realtà, dei problemi reali, spesso drammatici, delle persone che si rivolgono alle parrocchie, ai servizi ecclesiali, ai singoli operatori. In questo senso, come evidenziato anche da monsignor Carlo Roberto Redaelli, presidente di Caritas Italiana, le Caritas diocesane possono contribuire molto nella fase narrativa del Cammino sinodale in corso, aiutando le comunità a mettersi in ascolto degli ultimi e di tante persone che spesso sono ai loro margini.
All’ascolto va unito l’accompagnamento, da realizzare attraverso la “presa in carico” di coloro che bussano alla porta della comunità. Ma anche il paziente e non facile accompagnamento della comunità all’incontro con i poveri e il «prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause» (Evangelii Gaudium, 198).
In questo tempo, di questioni e problemi sempre più complessi, appare poi fondamentale saper lavorare in rete con soggetti diversi, nella consapevolezza di essere una parte della realtà, liberandosi dell’ansia di dover dare da soli una risposta a tutto e senza la preoccupazione di essere al centro, ma costruendo alleanze, puntando a obiettivi condivisi, mettendo ciascuno a disposizione le proprie risorse e competenze, nell’ottica del bene comune e dell’animazione della comunità, ecclesiale e civile.
Nondimeno va sottolineata la necessità dell’attività di tutela dei soggetti deboli (l’azione di advocacy), denunciando le situazioni di ingiustizia e lo smascheramento degli interessi a cui esse sono funzionali, promuovendo al tempo stesso nelle persone meno tutelate la consapevolezza dei propri diritti negati. Stare dalla parte di coloro che non hanno la capacità di rivendicare i propri diritti vuol dire trasformare l’indignazione in un processo di costruzione delle migliori risposte possibili.
Tutto questo rappresenta una sfida in termini formativi, essendo sempre più necessaria una formazione adeguata rispetto al livello a cui ciascuno opera (direttori, collaboratori, volontari, operatori professionali, ecc.), da diversi punti di vista: spirituale, teologico, tecnico-professionale, socio-economico, educativo. Ciò non significa che ogni persona impegnata nella pastorale delle carità, debba essere un superesperto o possedere competenze straordinarie; è invece bene evitare la sindrome da one man show e promuovere il lavoro corale, valorizzando le capacità e le competenze di più soggetti. Il lavoro in équipe fa parte dello stile di una Chiesa sinodale, ma non è automatico; appare necessario un investimento formativo in tal senso, soprattutto per coloro che sono chiamati a ricoprire un ruolo di leadership all’interno delle équipe.
In termini formativi, appare poi importante valorizzare le interviste ai “testimoni Caritas”, sia a livello nazionale che diocesano, pubblicate nell’Appendice al volume 3 della ricerca.
La via della creatività indicata da papa Francesco sollecita particolarmente le Caritas diocesane al coinvolgimento e alla valorizzazione dei giovani. L’esperienza di questi 50 anni dimostra quanto sia stato prezioso il loro apporto. Il Sinodo dei giovani ha fatto chiaramente capire la necessità di considerarli “soggetti” e non “oggetti”. Una convivenza più umana necessita – anche e soprattutto nei loro confronti – di ascolto e accompagnamento, con l’offerta di esperienze forti e significative, che i giovani hanno sempre dimostrato di apprezzare particolarmente.
Un ultimo aspetto riguarda infine la chiusura di molte attività caritative promosse da istituti di vita consacrata, e spesso anche il venir meno o la forte riduzione della presenza degli istituti stessi. È opportuno riflettere se le Caritas diocesane (e le diocesi) debbano o comunque siano in grado di supplire a tali chiusure. Anche questo può essere un tema su cui riflettere nel corso del Cammino sinodale.
Tratto da “La nostra storia, il nostro domani” di Renato Marinaro