Uniti insieme, rifugiati, richiedenti asilo e sfollati interni, compresi donne e bambini, sono quasi 80 milioni. Una cifra esorbitante, simbolo di quanta fragilità porta con sé il pianeta.
Tuttavia, sono una moltitudine le cause del perchè queste persone vivono senza fissa dimora: le guerre, i conflitti o le violenze che negli anni si sono succedute, a cui si aggiungono l’instabilità ambientale e i disastri naturali sempre più frequenti.
Questa immagine, ripresa dal dossier di Caritas Italiana, sulla situazione degli sfollati in Iraq, richiama una situazione di estrema vulnerabilità in questo territorio. Il dossier riporta alcune testimonianze, possibili tracciati di quanto tutto quello che si legge o si sente attraverso i mass media sia estremamente veritiero.
Un esempio è la storia di Yassir, dodicenne, e della sua famiglia:
Un giorno Yassir guardava fuori dalla finestra della sua camera. C’era molta confusione. Tanti uomini vestiti di nero, armati, avevano fatto uscire dall’abitazione Haidar, il loro vicino di casa. Haidar faceva il sarto ed era sempre stato gentile con la sua famiglia. Aveva un giardino pieno di alberi di melograno e ogni novembre, e quando facevano frutti grossi quanto i pugni di un uomo, regalava a Yassir due ceste piene da portare a casa. Yassir affacciato alla finestra vede Haidar inginocchiato. Urlava che non sarebbe mai diventato uno di loro, urlava che non avrebbe mai ucciso nessuno. Una scimitarra cala veloce sul collo di Haidar, la testa rotola nella polvere. Il giorno dopo Yassir e la sua famiglia fuggono in direzione di Baghdad e trovano riparo nel campo di Ameryat Al Fallujah. Per mesi Yassir non parlò con nessuno, il trauma gli soffocava la vita. Sua madre e l’assistente sociale di Caritas Iraq lo convinsero a seguire un percorso terapeutico, promosso dalla Caritas nazionale e frequentato da ragazzi che come lui avevano assistito, o vissuto, violenze troppo grandi. La madre lo vedeva lentamente rifiorire. “Un giorno, tornando dalla terapia, Yassir mi si è avvicinato e mi ha detto che si sentiva leggero” – racconta la madre –. Gli chiesi perché. Mi spiegò che gli psicologi avevano detto a lui e agli altri ragazzi di scrivere su un foglio i motivi della propria rabbia e di mettere, nero su bianco, cosa facesse loro paura. Yassir scrisse dell’uccisione di Haidar. Insieme ai suoi compagni, fecero a pezzi i fogli, li gettarono a terra, li calpestarono, urlarono, piansero. Poi finalmente sorrisero e Yassir mi disse che si sentiva più leggero dentro. “Ci vorrà molto tempo perché la ferita di mio figlio diventi cicatrice, ma posso custodirlo in questo lungo cammino” – concluse la madre -.