La situazione lentamente si sta stabilizzando in Serbia, anche se in alcune zone rimane alta l’allerta per possibili frane e smottamenti, fenomeni che continuano a verificarsi nonostante sia stato revocato lo stato d’emergenza. Continuano a far paura anche i livelli dei fiumi, ancora ampiamente sopra la media, e le condizioni degli argini ancora esistenti, fortemente compromessi dalle piene della scorsa settimana. All’unisono i Ministeri della salute e dell’agricoltura allertano la popolazione e diffondono informazioni circa le norme igieniche e le precauzioni da seguire al fine di evitare il diffondersi di malattie, epidemie o avvelenamenti causati dall’ingestione di cibi o acqua contaminata.
L’emergenza evacuati non è ancora rientrata, a 10 giorni dalla loro apertura i 45 centri di accoglienza istituiti nella sola Belgrado sono tutti in funzione e lo saranno ancora per giorni perché il rientro degli evacuati nei centri abitati alluvionati sarà un lungo e complesso processo, anche alla luce del fatto che
numerose abitazioni non saranno più agibili. Solo sabato hanno avuto inizio le prime operazioni di pulizia e disinfezione nella città di Obrenovac, il cui centro è ancora senza elettricità e acqua potabile e dove si stimano circa 30.000 edifici danneggiati dall’acqua. In città tutto ciò che si trova sotto il metro e mezzo di altezza è stato raggiunto e danneggiato dall’acqua, il più delle volte in modo irreparabile.
Il Governo Serbo ha istituito una Commissione per la valutazione dei danni delle alluvioni e frane che dovrà presentare un report entro fine mese. L’estensione dell’area colpita e l’intensità dei fenomeni che hanno devastato il paese richiedono un notevole sforzo e un coordinamento non solo a livello istituzionale, ma si rende necessaria anche una collaborazione con il privato il terzo settore. La priorità è recuperare le abitazioni agibili, per permettere il ritorno delle persone il prima possibile. Poi andranno valutati i danni delle vie di comunicazione stradali, le reti idriche, elettriche, telefoniche, ferroviarie; le perdite subite dagli agricoltori e allevatori e il tempo necessario al ripristino della normalità (si parla comunque di anni e ingenti investimenti) oltre a quelli delle piccole coltivazioni che in molte zone rappresentano un importante fonte di sostentamento per le popolazioni locali; infine, ancora incalcolabili, appaiono i danni alle industrie e alle attività commerciali alluvionate.
La rete Caritas si è attivata anche nella fase di rilevazione dei bisogni e a breve gli operatori e i volontari somministreranno dei questionari ai nuclei famigliari che vivono nelle zone più colpite, suddivise in cinque aree: Obrenovac, Ub, Sabac, Valjevo e Krupanj.
Sulla base di questa ricerca si baseranno anche i progetti di Caritas a lungo e medio periodo, piani pluriennali finalizzati a sostenere le comunità locali verso il pieno ritorno alla normalità spazzata via dalla furia delle acque.
Infine, un altro timore che affligge gran parte delle persone colpite dall’alluvione è la paura di cadere nel dimenticatoio e che con il ritirarsi delle acque venga meno anche quell’onda di solidarietà che per giorni ha mobilitato un intero paese. Ci si augura che la saturazione mediatica raggiunta non precipiti all’improvviso.
I centri di accoglienza sono ancora pieni di famiglie che hanno bisogno di aiuto e un supporto maggiore sarà richiesto quando potranno tornare a casa, visto che solo alcuni potranno trovarne una ad aspettarli e un numero ancora maggiore di persone avrà perso le proprie fonti di sostentamento.