Il 4 e il 5 giugno noi giovani dell’Anno di Volontariato Sociale della Caritas Tarvisina (AVS) abbiamo vissuto l’esperienza di metterci sulle orme di due grandi testimoni del Vangelo che si concretizza nella vita e dell’impegno a costruire la pace: don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira.
Per farlo, abbiamo raggiunto i luoghi del loro operato e della loro vita, tra le meravigliose colline toscane, a cominciare dal paesino di Barbiana, piccola località nel Mugello, che ora conta una trentina di abitanti.
Attraverso un sentiero in salita in mezzo al bosco, siamo arrivati alla canonica e alla chiesetta che don Milani aveva reso il cuore della piccola comunità, nel quale aveva dato via alla sua speciale scuola, che sarebbe diventata famosa in tutto il mondo.
Lì alcuni dei suoi primi studenti, oggi accolgono i gruppi in visita o in ritiro, raccontando la storia del loro maestro e padre don Lorenzo. Noi abbiamo avuto l’onore di essere ricevuti da Giancarlo Carotti, uno dei primi 6 ragazzi della scuola di Barbiana. Nella stanza dove si svolgevano le lezioni (con l’allargamento della scuola spesso si studiava in giardino) Giancarlo ci ha spiegato cosa ha rappresentato l’arrivo di don Milani in quel paesino sperduto.
E’ lì che il giovane don Lorenzo viene mandato nel 1954 in una sorta di “confino” mascherato con una promozione, a causa del suo essere un elemento scomodo e pericoloso all’interno dell’istituzione ecclesiastica.
Infatti, sostiene la lotta dei comunisti alle ingiustizie sociali, invitando i cattolici a votare per i sindacalisti nelle liste della DC e predica la critica costruttiva nei confronti di tutte le istituzioni, schierandosi contro il perbenismo e affermando la primaria necessità per i cittadini dell’accesso alla cultura e all’istruzione.
Inoltre, nel suo libro Esperienze pastorali, di cui il Sant’Uffizio proibirà il commercio, don Milani scrive: “Bisogna recuperare tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini, bisogna buttarle ai piedi dei contadini e supplicarli di perdonarci”.
Se Barbiana rappresentava per le gerarchie ecclesiastiche una punizione, per don Lorenzo e per gli abitanti del paese si rivelerà essere una dono.
Fin da subito don Milani è convinto che sia dovere della Chiesa occuparsi dell’istruzione dei suoi fedeli, soprattutto dei più deboli. In quegli anni gli analfabeti in Italia rappresentavano il 13% della popolazione. Frase emblematica del suo pensiero è : “Con la scuola non li potrò far cristiani ma li potrò far uomini”. Secondo lui solo la cultura può aiutare i contadini a superare la loro rassegnazione e l’uso della parola equivale a ricchezza e libertà.
A Barbiana inizia la sua scuola dal nulla. Per convincere i genitori a mandarvi i propri figli, il nuovo parroco utilizza ogni mezzo, persino lo sciopero della fame.
La scuola di Barbiana è all’avanguardia: si studiano le lingue straniere, l’inglese, il francese, il tedesco e persino l’arabo. Si organizzano viaggi di studio all’estero. Don Milani parte dalla lettura dei giornali in classe, analizzando i temi dell’attualità e soffermandosi a lungo sui termini difficili. E’ un luogo che accetta tutti. Nessun ragazzino deve rimanere indietro, nessuno si deve sentire inadeguato allo studio o incapace. Si studia dodici ore al giorno, 365 giorni l’anno. Gli unici due libri che per don Lorenzo contano davvero, ci riporta Giancarlo, sono il Vangelo e la Costituzione italiana.
Ancora oggi si possono ammirare alle pareti dell’aula i lavori costruiti, disegnati e scritti dagli studenti di Barbiana: cartine geografiche che rappresentano chiaramente la situazione dell’Europa durante i conflitti mondiali , lo schema dell’evoluzione del Parlamento italiano dalla sua nascita, l’astrolabio per lo studio del cielo, le tabelle per l’analisi logica e del periodo…
Il motto della scuola di don Milani è il famoso e imitato I care, ovvero mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura: il contrario esatto del mussoliniano me ne frego ; è scritto chiaramente sulla parete dal prete stesso.
La cultura di un uomo e di una donna, perciò, deve essere ampia e deve riguardare tutto quello che appartiene al mondo, non può essere limitata al programma scolastico stabilito dall’istituzione.
Nel famoso libro Lettera a una professoressa, scritto insieme ai suoi studenti, don Milani critica duramente l’intero sistema scolastico italiano, denunciando l’arretratezza e la disuguaglianza presenti nella scuola, che scoraggiano i più deboli mandando avanti i più forti.
“Se mandate i poveri via dalla scuola non è più una scuola; è un ospedale che cura i sani e manda via i malati, diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile.”
Interessante, soprattutto per noi giovani dell’A.V.S. , lo schieramento di don Milani a favore dell’obiezione di coscienza, in quegli anni duramente criticata dalla Chiesa stessa.
Nel febbraio del 1965, il prete legge, insieme ai suoi studenti, sul quotidiano La Nazione, la lettera di un gruppo di cappellani militari in congedo, che criticano aspramente il rifiuto alla leva, considerandolo un insulto alla Patria e ai suoi caduti. Don Lorenzo non può trattenersi e risponde, a modo suo, con una lettera tagliente che viene pubblicata dalla rivista Rinascita, nella quale il priore afferma che “L’obbedienza non è più una virtù” e che “Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”.
Don Milani riceverà, oltre a critiche, intimidazioni e minacce di morte, una citazione in giudizio con l’accusa di incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare. Assolto in Tribunale, viene poi chiamato in Appello dagli accusatori, ma la pena non verrà mai scontata a causa della sua prematura morte, a soli 44 anni, per il morbo di Hodgkin, di cui soffre da anni.
Il giovane sacerdote viene seppellito nel piccolo cimitero di Barbiana con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna, vicino alla cara Eda, perpetua che lo ha accompagnato in tutti gli anni trascorsi nel paesino e che per i ragazzi, ci spiega Giancarlo, è stata una madre.
Le ultime parole del suo testamento sono per i suoi ragazzi: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho la speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.”
Dopo la visita a Barbiana, ci siamo recati a Firenze, per conoscere un altro uomo straordinario, vicino alla figura di don Milani, ovvero Giorgio La Pira.
Attraverso alcuni luoghi rappresentativi della politica e della storia fiorentina, come il Palazzo Vecchio, sede dell’assemblea dei 500, e i luoghi della vita di La Pira, tra cui la chiesa S.Maria Assunta in Badia fiorentina, abbiamo scoperto come quest’uomo sia stato veramente un ponte tra il mondo cristiano e il mondo politico, dimostrando che far politica è una missione nobile, è prendersi cura delle persone e impegnarsi per il cambiamento e la pace. Il buon cristiano, perciò, deve far politica, certo, non nel modo in cui siamo abituati a conoscerla oggigiorno…
Giorgio La Pira si è messo in prima fila fin da subito: nato nel 1904, nel 1939 fonda e dirige la rivista Principi, nella quale, in pieno regime fascista, pone le premesse cristiane per un’autentica democrazia. Collabora, nel 1944 con il Comitato di Liberazione Nazionale, sostiene il diritto universale al lavoro e l’accesso generalizzato alla proprietà. Nel 1947 viene eletto all’Assemblea Costituente, dando voce alla presenza cristiana nel difficile processo di rinascita della democrazia in Italia. Fa parte della commissione dei 75, che formulano i principi fondamentali della nostra Costituzione e nel 1948 è nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro.
Afferma fortemente la necessità e la concreta possibilità del lavoro e della casa per tutti e negli anni da sindaco di Firenze (1951-1958, 1961-1965), realizza straordinarie iniziative di carattere politico e sociale, come la costruzione di case popolari in varie zone della periferia e il ritiro ai cittadini benestanti delle abitazioni non utilizzate per dare un tetto ai più poveri.
Il suo impegno va oltre il territorio nazionale: nel 1952 organizza, in piena Guerra Fredda, il primo Convegno internazionale per la Pace e la civiltà cristiana, da cui avrà inizio un’attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti vivi, profondi e sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi.
Viaggia per il mondo, incontrando e intessendo relazioni diplomatiche con i capi di stato delle nazione emergenti e coinvolte nei disordine e nelle tensioni del periodo, come La Russia, il Vietnam, l’Ucraina, l’America, l’Egitto, Israele, il Marocco….
Nel 1965 promuove a Firenze il Comitato internazionale per le ricerche spaziali, una tavola rotonda sul disarmo, iniziative tese a mettere in luce il valore e l’importanza del Terzo Mondo e degli emergenti stati africani.
Nel 1973, al Convegno internazionale “I progetti per il futuro” delinea i compiti delle nuove generazioni, affermando che “I giovani sono come le rondini, annunciano la primavera”.
Scrive a Capi di Stato, a personalità di ogni continente, ai monasteri, ai vecchi e ai bambini di Firenze, tiene discorsi, conversazioni, incontri; le persone lo seguono e lo ammirano per la forza della sua fede e la purezza dei suoi ideali.
La sua grande convinzione è che non ci possa essere pace nel mondo senza la pace tra cristiani, ebrei e musulmani. Per questo si impegna a instaurare rapporti costruttivi con il mondo arabo, organizzando incontri tra rappresentanti di paesi europei e Israele, compiendo pellegrinaggi in Palestina, Israele, Giordania ed Egitto e aprendo nuove speranze durante anni di conflitto tra quei paesi.
Il suo motto “Abbattere muri, costruire ponti” lui l’ha messo in atto e lo ha vissuto concretamente, come una missione, una chiamata.
La pace, secondo La Pira, “non è più un obiettivo lontano, o chimerico: è la sola possibilità che ci resta…Non ci sono più armi pulite o armi sporche: non ci sono ormai che armi assurde…”. Ovviamente, ha sostenuto anche lui con forza il diritto all’obiezione di coscienza, affermando che piuttosto di impiegare forze nella guerra, è di primaria importanza impegnarsi in piani mondiali per sradicare la fame, la disoccupazione e la miseria, l’ignoranza e la schiavitù.
Questi due uomini straordinari rappresentano con le loro vite la possibilità concreta di costruire la pace, di compiere la rivoluzione dell’amore di cui molti parlano.
“Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori” afferma don Milani, mettendo in luce l’importanza di fare il cosiddetto “passo successivo” nell’impegno per il prossimo, la necessità di sporcarsi le mani una volta individuato il problema, senza delegare ad altri.
Ci interroga direttamente Giorgio la Pira nel suo discorso all’Opera della gioventù, di un’attualità disarmante : “ Cosa dobbiamo fare tutti? Prendere coscienza di questa situazione storica nuova del mondo (alzate gli occhi e vedete, dice il Signore); pregare molto perché il piano di salvezza religioso e storico del Signore si attui nel mondo (venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra) ; ed operare con fermezza e intelligenza a tutti i livelli (politici, scientifici, tecnici, economici, sociali, culturali e spirituali) perché la barca ove è imbarcato il genere umano non solo non affondi, ma avanzi con accresciuta accelerazione verso il porto della pace, del disarmo, dello sviluppo, dell’unità e della promozione civile e spirituale dei popoli di tutto il pianeta”.
Buon lavoro ad ognuno di noi!