Il tempo dell’Avvento è un tempo di grazia nel quale lasciarsi toccare dalla misericordia di Dio ed aprirci all’amore fraterno. Il sussidio ci vuole aiutare a coltivare alcuni atteggiamenti di fondo suggeriti da questo tempo liturgico. Siamo chiamati a partire dalla povertà interiore, ossia dalla consapevolezza che Dio non lo possiamo avere, lo possiamo solo attendere con speranza certa. Non è un giocattolo nelle nostre mani, non è qualcosa che possiamo conquistare o meritare. Dio non è a nostra disposizione o sotto il nostro controllo. Tutto questo contraddice dal profondo la nostra ansia di dominio o i nostri tentativi di sottomissione. L’Avvento ribadisce lo spettacolo delle nostre mani vuote ma ci invita a considerarlo come l’unica condizione per sedere al banchetto che Dio prepara per noi ed essere colmati dei suoi beni.
Chi attende è anche aperto al nuovo. È pronto a contemplare un deserto che fiorisce. L’immagine, cara al profeta Isaia, è più che mai adatta a descrivere l’opera di Dio: inaspettata, rigogliosa, commovente. Dio viene nella novità. Egli è eterna novità. Chi ha un cuore vecchio o appesantito come potrà scorgere la sua presenza nelle pieghe della storia? L’attesa si fa anche vigilanza: il cuore è attirato e unificato dalla tensione verso l’incontro. Tutto il resto perde d’importanza e non assorbe l’anima così da consumarla attorno all’inessenziale.
Il Dio che ci viene incontro nella carne di Cristo ci visita in ogni fratello e sorella. In Avvento, a questo proposito, ci scuote la predicazione del Battista con la richiesta di opere di giustizia da praticare necessarie per ogni gruppo sociale, nessuno escluso.