Cinquant'anni fa la legge sull'obiezione di coscienza - CARITAS TARVISINA

Cinquant’anni fa la legge sull’obiezione di coscienza

“Ho spezzato il mio fucile: una scelta ancora attuale” Alberto Trevisan

Intervista ad Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza, che ricorda la lunga lotta, le ragioni della coscienza, le esperienze dei processi e del carcere. E spiega perché celebrare l’anniversario della Legge 772/1972. Infatti tra qualche giorno si celebrano i 50 anni dell’approvazione della legge in cui si riconosceva la possibilità di scegliere l’obiezione di coscienza di fronte al servizio militare obbligatorio (art. 52 della Costituzione italiana). Questa legge ha fatto emergere un pensiero nonviolento che ha continuato a coinvolgere in diversi modi decine di migliaia di giovani in Veneto e dato una forte spinta al terzo settore.

Da Enrico Veltrame su La Vita del Popolo dell’11 dicembre 2022

Siamo andati così a trovare nella sua casa nella prima periferia padovana Alberto Trevisan, storico obiettore di coscienza. Ci accoglie con la bandiera della pace appesa al lampione davanti casa. Entriamo.

Ci racconta dei tre processi seguiti alle sue tre obiezioni. Ci esprime la sua soddisfazione di aver costituito, primo in Italia, un assessorato alla Pubblica istruzione collegato all’educazione alla Pace e alla difesa dei Diritti umani. Le sue scelte lo hanno portato, negli anni, a essere uno degli attori principali del pacifismo italiano e a continuare fino ad oggi a fare formazione per le scuole e ai giovani che scelgono di fare il servizio civile. Alberto, 75 anni, feltrino di nascita ma trapiantato a Padova, sposato con la trevigiana Claudia Bernacchi, ha 2 figli e 4 nipoti. A febbraio festeggeranno le nozze d’oro. Claudia lo ha sostenuto nelle scelte anche dolorose, come il carcere e la latitanza.

Come è maturata la scelta di obiezione di coscienza al servizio armato? 

Sono cresciuto in parrocchia. E ho avuto la fortuna di avere un professore di italiano al liceo che mi ha aiutato ad allargare gli interessi che avevo e mi ha parlato di Gandhi, Martin Luther King, Lanza del Vasto, Aldo Capitini e Henry David Thoreau. Ho cominciato a leggerne gli scritti e a farne una lettura critica, alla luce del Vangelo. Si era appena concluso il Concilio Vaticano II e mi sono imbattuto nel libro di un prete scomodo, don Lorenzo Milani, dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù”. Ho cominciato a frequentare gli studi per i servizi sociali all’università, ed ero interessato alle esperienze delle comunità cristiane di base e dell’opera dei preti operai. Ero impegnato nella Fuci. A un certo punto arriva la chiamata alle armi nel corpo degli alpini: destinazione L’Aquila! Dopo la visita medica (ottobre 1967), ho rinviato la partenza a causa degli studi. Poi ho deciso definitivamente che non avrei fatto parte di quella realtà.

La svolta, allora, quando è arrivata?

Leggendo la costituzione “Gaudium et spes” ho trovato delle risposte ai miei moti interiori, in particolare dove si legge, al n. 79, “sembra conforme a equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana”. Ho deciso di obiettare al servizio militare per la prima volta il 9 giugno del 1970, e fu una obiezione individuale. Fino a quel momento, infatti, come per gli altri giovani obiettori, questa era la modalità adottata. Nonostante il processo subito, mi sono detto quasi subito che non avrei finito!

Che cosa ti ha spinto ad andare avanti?

Nella mia scelta ho avuto l’appoggio della famiglia, che mi ha insegnato i valori della libertà e dell’antifascismo. Durante la permanenza in carcere, mia mamma mi ha inviato in carcere una lettera con una poesia di Langston Hughes, poeta afroamericano. Era un invito a resistere, ad andare avanti. Rileggendola, ho capito ancora di più che non potevo mollare.

E così?

Le mie obiezioni sono state tre, intervallate da pochi mesi di libertà e da tre processi. Dopo la prima individuale, ne seguirono due collettive nel 1971 e nel 1972. Dopo il carcere militare di Roma, a Forte Boccea, ci siamo trovati in 7 giovani obiettori per condividere uno stesso pensiero: “No all’esercito!”. C’eravamo conosciuti alcune settimane prima, a un convegno nazionale sul militarismo, anche se ci guidavano motivazioni diverse: il credo cattolico, il pensiero anarchico, la filosofia radicale.  Il 9 febbraio 1971 ci siamo trovati a fare una conferenza stampa a Roma, dove abbiamo espresso la nostra scelta dell’obiezione di coscienza collettiva, la chiave di volta per tutto il movimento.

E poi cosa successe?

La nostra obiezione pubblica fu ripresa da molti quotidiani e da riviste pacifiste o del dissenso cattolico dell’epoca, come “Testimonianze”, diretta allora da padre Ernesto Balducci. Diede anche una spinta all’iter legislativo delle proposte di legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, arrivando nel luglio 1971 all’approvazione in Senato della “proposta Marcora”, che in quel momento decadde, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

Come ti aiutato la tua fede di giovane cattolico durante la permanenza in carcere?

Durante la permanenza in carcere ho avuto modo di leggere molti libri e di conoscere molti autori, che sono diventati dei veri e propri compagni di viaggio. Tra questi sicuramente Aldo Capitini e Pietro Pinna, Giorgio La Pira, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo e don Lorenzo Milani. Come ho ricordato prima, ho riflettuto molto leggendo la Gaudium et spes, dove per la prima volta la Chiesa dichiarava che non esisteva più una guerra giusta, ma era giusto rispettare le scelte degli obiettori di coscienza. Ha rappresentato un lasciapassare rispetto al mio sentire. Sentivo una spiritualità laica, vicina a quella rivoluzione che avveniva nella Chiesa. Ma sono stato a contatto con giovani di estrazione diversa e non pesavano le radici.

Una scelta che ha dato anche una spinta alla politica nel fare una legge specifica?

Percepivo che eravamo arrivati a un punto tale che bisognava uscisse una legge. A ogni scaglione di leva aumentava il numero degli obiettori, così come le manifestazioni e gli arresti. Nel luglio 1972 c’è stato un processo a 4 obiettori padovani, mentre nel frattempo si susseguivano processi anche in altre parti d’Italia. Da ottobre il dibattito sull’obiezione di coscienza cominciò ad avere un peso crescente anche a livello di stampa. Il 30 novembre il Senato approvò la proposta di legge di alcuni parlamentari che sostenevano l’obiezione di coscienza (come Marcora, Fracanzani, Anselmi). Nel giro di pochi giorni passò alla Camera, dove venne approvata il 14 dicembre, entrando in vigore il giorno dopo (15 dicembre 1972).

Perché portare l’educazione alla pace dentro agli Enti locali?

Era il modo più efficace per inserire all’interno delle istituzioni pubbliche gli ideali di nonviolenza, pace e giustizia e difesa dei diritti umani. Essere all’interno delle associazioni può avere un significato prettamente personale, mentre essere inseriti nelle istituzioni pubbliche significa trasmettere un grande significato politico e sociale.

Quanto è ancora attuale quella legge?

Nei principi è ancora attuale, perché ha riconosciuto il primato della libertà dell’individuo. Dal 2000 il servizio militare non è più obbligatorio e quindi si è gran parte svuotata della sua efficacia la legge 772. Ma resta importante riflettere sull’obiezione di coscienza, almeno per due motivi. In primo luogo perché non può dirsi esaurita la necessità di mantener viva una riflessione sui valori che hanno fatto sorgere e sostenuto nel tempo la scelta dell’obiezione di coscienza, dalla pace all’antimilitarismo, dalla nonviolenza al rifiuto delle armi. In secondo luogo, la questione resta significativa in quanto rimane aperta la riflessione sul problematico rapporto tra norma e coscienza, che oggi tocca gli spazi della bioetica.

Cosa significa “spezzare il fucile” oggi?

Significa rifiutare il dominio della cultura militare, ma anche lottare con chi fugge delle guerre combattute con le armi da fuoco o con quelle più subdole dell’economia. Significa avere cura del creato e pensare alle generazioni future. Questo esercizio deve essere un impegno collettivo!

Prima di salutarci ci tiene a fare un ultimo ricordo di un’amica, Liana Fiorani – autorevole studiosa della Scuola popolare di Barbiana – scomparsa l’anno scorso e a confidarci quelli che sono i suoi due luoghi del cuore: Barbiana nel Mugello e Sankt Radegund nell’Alta Austria, legati a don Lorenzo Milani e Franz Jägerstätter.

 

“Il fucile spezzato non è una semplice spilla di metallo. È il simbolo della pace e della nonviolenza. È l’immagine di un fucile che non è più in grado di sparare, offendere o minacciare, è un’arma inutile. Deve solo ricordarci che la grande tragedia della guerra e della violenza si può superare se ognuno di noi incomincia a spezzare il proprio fucile, a rendere inutile la propria arma. In fondo le guerre si fanno con le armi. La prima pacificazione si fa rinunciando a usarle”

(Alberto Trevisan, Ho spezzato il mio fucile)


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