AGGIORNAMENTO DEL 7 AGOSTO
Nel pomeriggio di martedì 4 agosto, alle 18:08, una tremenda esplosione avvenuta nella zona portuale ha devastato Beirut facendo una strage: secondo un bilancio, inevitabilmente provvisorio, sarebbero oltre 150 le vittime, più di 5.000 i feriti e circa 100 i dispersi. La deflagrazione è avvenuta in un deposito nei pressi del porto, dov’erano custodite 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, confiscate sei anni fa a contrabbandieri moldavi.
Una sostanza pericolosissima che è deflagrata forse per le scintille sprigionatesi durante un’operazione di saldatura nel magazzino. L’effetto è stato apocalittico: come riportato da testimoni, il boato è stato percepito fino all’isola di Cipro, distante più di 250 chilometri, con un urto pari a quello di un terremoto di magnitudo 4.5. Ingenti i danni alle abitazioni private, alle automobili, alle attività commerciali, agli uffici pubblici e privati, travolti dall’onda d’urto. Migliaia di tonnellate di materiali che erano stipati nel porto sono andati distrutti, tra cui generi di prima necessità indispensabili in un paese dipendente dalle importazioni.
Il governatore di Beirut, Marwan Aboud, ha reso pubblico un primo calcolo dei danni provocati dall’esplosione che si aggira intorno ai 3,5 miliardi di dollari, in un Paese già duramente afflitto da una grave crisi economica e finanziaria. A questo si aggiungono le oltre 300mila persone sfollate a causa dell’esplosione. E non solo, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione, la FAO, si potrebbe porre a breve un “problema di disponibilità di farina per il Libano”. Nell’esplosione, infatti, sono stati distrutti i silos di grano installati vicino al porto della città.
Emergenza sanitaria
Nelle ultime ore a preoccupare maggiormente è l’emergenza sanitaria, già aggravata dal Covid-19 diffuso a livello mondiale. Nello specifico la pandemia è in forte peggioramento: sono quasi 5.000 i casi, che crescono a ritmo di 200 al giorno, con un nuovo lockdown parziale appena annunciato. Tanti gli ospedali resi inagibili dall’esplosione. Nel Paese è forte la preoccupazione anche per le tossine presenti ora nell’aria. Il ministro della salute libanese Hamad Hasan ha consigliato a chiunque ne abbia la facoltà, di lasciare la capitale libanese. Hasan, citato dai media locali, ha affermato che i materiali pericolosi sprigionatisi nell’aria dopo le deflagrazioni potrebbero avere effetti a lungo termine mortali.
Ospedali al collasso
Diverse strutture, tra cui quella di Clemenceau e l’American University Hospital, hanno bisogno urgente di donatori di sangue. Già dalla tarda serata del 4 agosto, giorno dell’esplosione, la situazione si è rivelata critica: tutti gli ospedali della capitale hanno raggiunto in poco tempo la saturazione, tanto da spingere centinaia di persone a fare rotta verso Tripoli, seconda città del Paese, nonché la più colpita dalla crisi economica. A Beirut est, particolarmente colpite le due strutture di Geitawi, un quartiere che sovrasta quello semi distrutto di Mar Mikhail. Si tratta degli ospedali Saint George e del Saint Marc.
L’ospedale Saint George è stato evacuato il giorno dell’esplosione in tarda nottata. Era un centro sanitario di ottimo livello, nel quale venivano anche effettuati tamponi per il Covid all’esterno, attraverso la modalità “drive through” (rimanendo in macchina). In seguito alla detonazione, avvenuta ad una distanza di 2 km, sono morte quattro infermiere, investite dall’esplosione dei vetri dell’ospedale. Anche l’altro ospedale di Geitawi, il Saint Marc, è al collasso: decine di pazienti gravi, ma meno gravi di quelli a rischio di morte immediata, sono stati dimessi, oppure trattati direttamente sulle ambulanze della Croce rossa libanese. Gravemente danneggiato e in seguito evacuato anche l’ospedale Al Wardieh, a Gemmayze, e soprattutto quello di Karantina, il più vicino alla detonazione. La Croce rossa fa sapere anche che tutte le ambulanze in dotazione e normalmente impegnate nella Beqaa, nella regione settentrionale dell’Akkar, del Nord del Libano e del sud del Libano sono state messe a disposizione nell’area di Beirut. Danneggiato in modo minore l’ospedale Rizk, sempre nella parte orientale della città.
La situazione del Libano in piena crisi economica
L’esplosione si colloca in un periodo storico già fortemente doloroso per la Terra dei Cedri, precipitato in una crisi economica senza precedenti: dall’ottobre 2019, migliaia di persone hanno riempito le piazze del Libano per protestare contro la corruzione endemica dell’establishment politico, alimentata dal sistema confessionale che genera povertà. In Libano infatti si allarga sempre più la forbice sociale che separa “il Libano dei ricchi”, costituito dall’1% della popolazione che detiene il 25% della ricchezza, dal resto dei libanesi, di cui un quarto vive con meno di 5 dollari al giorno. Un processo che ha subito un’impennata negli anni successivi alla fine della guerra civile, durata 15 anni: dal 1990 il debito pubblico si è gonfiato a dismisura, crescendo del 2mila per cento, e arrivando al 152% del Pil. Il piccolo Libano è divenuto il terzo Paese al mondo per il peggior rapporto debito/Pil.
La classe media libanese, fino a pochi anni fa rinomata per standard di vita equiparabili a quelli dei loro omologhi europei, è praticamente scomparsa, polverizzatasi insieme ai propri risparmi bancari in lira libanese, che negli ultimi 8 mesi ha perso più dell’80% del suo valore. Dallo scorso ottobre si è passati da un tasso di cambio di 1.500 per un dollaro (mantenuto artificialmente dalla Banca centrale) a circa 10.000 sul mercato nero. La polizia locale ha riferito della diffusione di un nuovo tipo di rapine: quelle in farmacia, perché anche i pannolini e il latte in polvere hanno raggiunto cifre esorbitanti. I dati della polizia parlano anche di un aumento del 50% dei furti d’auto nei primi mesi del 2020 rispetto all’anno precedente, e del 20% per quel che riguarda le rapine. La carne rossa è diventata a tutti gli effetti un bene di lusso, addirittura eliminata dal rancio delle Forze armate. Sui siti internet di commercio solidale i libanesi scambiano gioielli e vestiti con passeggini, biberon, culle per bambini. Secondo un recente report di Save the Children, solo nell’area della Greater Beirut (2,2 milioni di abitanti) le persone che non hanno cibo a sufficienza sono circa 910mila, la metà dei quali bambini, che rischiano di morire di inedia nel corso dell’anno. Il Libano ha un’economia dollarizzata ma i libanesi non hanno più accesso ai dollari da ormai duecento
giorni, da quando cioè sono stati dapprima disposti limiti al loro prelievo e poi vietati del tutto, sullo sfondo di un default tecnico dichiarato dal governo ad inizio marzo 2020, per via del mancato pagamento di un Eurobond da 1,2 miliardi di euro. Lo stesso esecutivo guidato dal premier Hassan Diab ha stimato le perdite in circa 70 miliardi di dollari, in un paese che ha uno dei debiti pubblici più alti al mondo. Il Libano importa quasi tutto, e il prezzo dei beni alimentari è cresciuto di oltre due terzi. Se prima un kilo di pollo costava 12mila lire libanesi ora ne costa 58mila. Decine di attività hanno dovuto chiudere, contribuendo a portare il tasso di disoccupazione al 33%, quello giovanile al 45%. L’ultima, inquietante novità è il buio sulle strade: metà dei semafori di Beirut hanno smesso di funzionare,
e lo stesso vale per gran parte dei lampioni, a causa di una faida (su chi debba essere destinatario degli introiti derivanti dai parchimetri) tra la municipalità della capitale e l’Autorità per la regolamentazione del traffico, che ha portato lo scorso maggio a non poter più rinnovare il contratto con l’azienda libanese-americana Duncan-Nead, che se ne occupava. A giugno sono stati 33 i morti in incidenti stradali, oltre il 120% in più rispetto ad aprile. Dalla fine della guerra civile (1975-1990)
il Libano ha fatto i conti con l’occupazione da parte di eserciti stranieri; con una ricostruzione post bellica schizofrenica e profondamente diseguale. Ha vissuto due guerre con Israele, gli anni degli attentati ed infine gli effetti della guerra in Siria, con il conseguente afflusso di un numero incredibile di profughi siriani, 1,5 milioni, che si aggiungevano ai 500mila palestinesi, in un Paese che ha 5 milioni di abitanti ed è esteso esattamente come l’Abruzzo. Ogni mille abitanti se ne contano più di 150, ed è un record mondiale. Ma moltissimi fra i profughi non hanno un’identità legale: niente documenti, niente lavoro, niente diritti. A questo si aggiungono la mancanza di una rete elettrica efficiente, con blackout programmati di circa 12 ore al giorno nel migliore dei casi, e una rete internet che si blocca facilmente per il sovraccarico dei generatori privati alimentati a benzina. Mai, però, si è arrivati a questo punto, per giunta con una pandemia in forte peggioramento e un popolo che non ha nemmeno più la forza di scendere in piazza a protestare, come faceva qualche mese fa. Anche manifestare costa. E fa venire ancora più fame.
Interventi in atto
Più di 200 giovani volontari e gli operatori di Caritas Libano si sono attivati dal primo momento, per portare soccorso ai feriti, sgombrare abitazioni, negozi e strade dalle macerie, distribuire acqua e cibo agli sfollati, fornire sostegno psicologico soprattutto ai bambini, terrorizzati da quanto accaduto. 3 team medici mobili di Caritas Libano sono stati attivati per sostenere i medici negli ospedali, ormai al collasso. In seguito ad una teleconferenza svoltasi mercoledì 5 agosto, a cui hanno partecipato 31 operatori di 16 Caritas Nazionali di tutto il mondo, Caritas Libano ha
lanciato un primo piano di urgenza contando sull’aiuto finanziario e tecnico della rete Caritas.
Caritas Tarvisina, in collegamento con Caritas Italiana, raccoglie donazioni attraverso bonifico bancario (causale “Emergenza Libano”) tramite:
Credito Trevigiano
Iban: IT61 I 08917 12000 000000332341
Intestato a Carità Diocesana di Treviso – ONLUS (le offerte sono deducibili)
oppure