Tutto il mondo segue con apprensione gli avvenimenti che stanno avendo luogo in Afghanistan: dopo una guerra di venti anni, il ritiro delle forze armate statunitensi lascia il paese in un tragico baratro. La tragedia del popolo afghano, le immagini che ci giugnono, il susseguirsi delle notizie non possono che provocare dolore e ottenere la nostra preocupazione.
Assieme al contingente italiano ad Herat e personale delle ambasciate, molti afghani (principalmente ex collaboratori Isaf/Nato) e le loro famiglie sono stati portati a salvo attraverso ponti aerei italiani; anche alcuni sacerdoti, religiosi e religiose sono arrivati in Italia (leggi la testimonianza di padre Giovanni Scalese sull’articolo La Vita del Popolo).
Con l’ultimo volo italiano decollato dall’aeroporto di Kabul, venerdì 27 agosto, si è conclusa l’operazione Aquila Omnia, che ha consentito di evacuare in Italia quasi 5.000 cittadini afghani che negli anni scorsi avevano collaborato con le autorità italiane e perciò erano a rischio di ritorsione da parte del nuovo regime dei talebani. L’accoglienza di queste persone è coordinata dal Ministero dell’Interno e le Prefetture. Molte sono le disponibilità giunte dalle Caritas diocesane in tutto il territorio nazionale, non solo per l’accoglienza ma anche per l’attivazione di procedure di ricongiungimento familiare al fine di provare a mettere in sicurezza le persone rimaste in Afghanistan.
Leggi l’interessante articolo “Cosa succede ora agli afghani arrivati in Italia” di Isaia Invernizzi, pubblicato dal giornale on-line Il Post.
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