Venerdì 10 ottobre, presso la Casa della Carità – sede di Caritas Tarvisina – si è svolta una preghiera per ricordare il terzo anniversario del naufragio che, il 3 ottobre 2013, ha visto morire nel mare di Lampedusa 366 migranti.
Il momento di riflessione è stato accompagnato dalle parole del Vescovo Gianfranco Agostino che, commentando il brano del Vangelo che narra della fuga di Giuseppe e Maria con il neonato Gesù in Egitto (Mt, 2,13-18) ha spiegato il senso della commemorazione.
“Giuseppe e Maria, e con loro il piccolo Gesù, sono fuggiti perché c’era un pericolo, perché la sopravvivenza era a rischio. E tanti che sono fuggiti, il cui viaggio si è drammaticamente concluso nel fondo del Mediterraneo (ma anche nel deserto, nelle montagne del Caucaso o dei Balcani, o dentro i cassoni dei camion), non lo hanno forse fatto semplicemente per poter vivere, o sopravvivere? Non sono forse fuggiti da crudeltà simili a quella di Erode? Dalla crudeltà della fame e delle guerre, di condizioni ambientali invivibili, di dittature o persecuzioni senza pietà?”
[…] Nessuno, o quasi nessuno, di noi conosce l’esperienza di giungere ad affrontare rischi mortali pur di sopravvivere, per scansare la morte che ci passa accanto.
[…]Le mille storie di tanti viaggi terribili, di tanti naufragi, di tante vite stroncate, ci giungono come avvolte da un grande silenzio. Talora è il silenzio della commozione, o il silenzio di chi si ritrova impietrito di fronte a tante morti assurde; ma spesso -confessiamolo – è il silenzio dell’indifferenza.
“Ascoltiamo il silenzio” è l’invito dato a questo nostro ritrovarci e che campeggia davanti a noi. In verità un grido intenso e straziante si eleva dal silenzio di quel mare che gli antichi chiamavano “nostrum”, un pianto e un lamento senza fine, perché troppi figli, troppi fratelli, non ci sono più, non ci sono crudelmente più. È il pianto, il lamento dei disperati in fuga che non raggiungono la meta, ma anche quello di tutti i derelitti e gli oppressi della terra, degli impoveriti dalle immani ingiustizie che pervadono il mondo e che non cessano di produrre troppi ricchi epuloni e troppi poveri lazzari.
Questa sera vogliamo raccogliere quel grido, quel lamento grande, quel pianto. Lo ha raccolto e lo ha fatto suo Gesù in croce; il quale, come racconta Marco, «dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Gesù, fratello, già nell’infanzia, degli esiliati e dei profughi, dei perseguitati e dei braccati dalla morte. Gesù, colui che si è messo con gli ultimi e i disgraziati della terra. Gesù, che «ci ha riscattati dalla maledizione della Legge – scrive Paolo – diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno» (Gal 3,13).
Nel silenzio della nostra riflessione e della nostra preghiera, risuoni dunque questa sera quel grido che si alza dal silenzio del mare: risuoni dentro di noi e raggiunga il nostro cuore, come raggiunge, certamente, il cuore di Dio.
La serata ha visto la partecipazione di oltre 500 persone, tra cui molti migranti, che, estraniandosi da polemiche e clamori, hanno voluto ricordare le vittime di questa strage che continua a perpetrarsi giornalmente.
Proprio questo ricordo è stato scritto da ognuno su un pezzo di carta e appeso simbolicamente ad una pianta di vite, da un lato come monito a non dimenticare, dall’altro come affidamento alle misericordia di Dio.