C'è posto per l'accoglienza! Ascoltiamo il Silenzio 2020 - CARITAS TREVISO

C’è posto per l’accoglienza! Ascoltiamo il Silenzio 2020

Perché una veglia di preghiera per i migranti morti?

Perché fermarsi a fare silenzio, davanti ad un’urgenza del fare, del rimboccarsi le maniche, del gridare all’ingiustizia?

Per fare comunione. Per essere comunità. Per essere Chiesa.

Per mettere in circolo quell’Amore che ci rende fratelli nell’unica umanità di cui facciamo parte ed a partire dalla quale abbiamo il dovere di indignarci per la morte dei tanti fratelli e sorelle che si mettono in viaggio, via terra o via mare, per cercare una vita migliore, talvolta una vita possibile per sé e per i propri cari, e questa ricerca viene stroncata dall’indifferenza, dall’egoismo, dall’assuefazione alla notizia della disperazione altrui.

Allora insieme? Si.

In presenza? Si. Per chi può.

Con le distanze di sicurezza? Certo.

Con la mascherina? Certamente.

In silenzio? Anche.

Ad ascoltare le STORIE di VITA e non solo i NUMERI delle stragi di cui siamo tutti complici, direttamente o meno. Le storie delle migrazioni interne dell’Ecuador, delle disperate traversate del Mediterraneo o della rotta balcanica, della fuga dall’inferno libico.

Ad ascoltare una Parola che continua nei secoli a risuonare viva e attuale e che ci guida, spezzata dalle mani del Pastore della nostra Chiesa, ad ascoltare il rimbombante senso di colpa che inevitabilmente tuona dentro i cuori di chi si lascia toccare in profondità, di chi sa ancora emozionarsi e compatire.

L’edizione di Ascoltiamo il Silenzio di venerdi 9 ottobre, ha visto quasi 200 persone raccolte negli ampi spazi del cortile della Casa della Carità, a testimoniare un desiderio di comunità e di umanità che alimentano il coraggio per costruire strade nuove.

Le parole del nostro Vescovo, don Michele Tomasi, a partire dal Vangelo di Mc.4,35-41 hanno portato calore e conforto nell’umidità della serata, ricca ed emozionante:

Il carpentiere, il falegname sale sulla barca: non è il suo ambiente/strumento di lavoro/di trasporto, eppure sale sulla barca, chiede ai suoi di portarlo dall’altra parte del lago mentre si aspetta tempesta. La tempesta viene ma lui è stanco, ha giornate intense, parabole da raccontare, mani da imporre, povertà, malattie e possessioni da guarire, ci mette tutto se stesso. Dorme e si affida alla maestria dei pescatori perché lo portino dall’altra parte del lago. E mentre dorme c’è la tempesta perché la vita è fatta anche di tempesta: nel lago ma non solo, ci sono inverni lunghi e faticosi anche nel Mediterraneo, ci sono estati difficili su tutti i mari e sulle piste di strada di questo nostro mondo. Lui è lì e dorme e gli chiedono aiuto, lo svegliano, perché la barca sta per affondare, perché non ce la fanno, viene sommersa dalla tempesta, dalle difficoltà e da tutto ciò che non riescono, pur nelle loro maestria a controllare, ad avere in mano.

E lui stanco, si lascia svegliare, ci mette un attimo per comprendere cosa sta succedendo, si alza, sgrida la tempesta, il mare si calma e poi chiede: “perché siete così impauriti, non avete fede?”. Loro guardano e si stupiscono e si chiedono ancora “chi è dunque costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?”. Non avevano ancora fede, non l’avevano ancora riconosciuto ed erano impauriti.

Abbiamo imparato durante la prima fase della pandemia, durante la chiusura totale, che siamo tutti nella stessa barca? Forse sì ma forse non del tutto.

Sicuramente siamo ancora impauriti: per quello che può succedere e perché abbiamo paura di riaffrontare tutte quelle questioni che non sono più state al centro della nostra attenzione, perché anche noi, in questo nostro mondo così stabile e chiaro, sicuro, progredito, abbiamo scoperto che è una barca in mezzo alla tempesta.  Ci siamo ricordati tutti assieme di essere mortali e vulnerabili. Ora abbiamo forse paura di allargare lo sguardo e ascoltare davvero le testimonianze che ci vengono poste, perché mettono in discussione la causa delle nostre paure. Perché se adesso abbiamo un motivo sociale per stare distanti, forse abbiamo anche un motivo sociale per dimenticare chi si fa vicino, chi si fa prossimo, chi ci impone di ascoltare una storia e di intuire un’esistenza, magari dietro una mascherina ma quello non importa: c’è uno sguardo, una presenza, un cuore che batte, un’energia, una relazione che fa parte di noi, non possiamo staccare, pena morire già adesso, pena essere già morti, se non guardiamo, non ascoltiamo, non accogliamo. Il problema non è stare ad un metro di distanza, possiamo stare anche a 2 metri ma stare in relazione lo stesso. Il problema è uccidere l’umanità in me prima che mi raggiunga in te e questo non ce lo possiamo permettere. Non possiamo, come i discepoli sulla barca lasciarci dominare dalla paura. Dobbiamo trarre la conseguenza della fede, dai nostri atteggiamenti personali, comunitari, ecclesiali, sociali, politici, economici. C’è posto per l’accoglienza. C’è posto per chi viene da lontano. Se c’è posto per me, c’è posto anche per te. Ed è la sfida che ci viene donata da questo tempo: riguadagnare la nostra umanità, non ucciderla in noi. Lasciamoci rimproverare dal Signore che ci chiede “Ma perché hai così tanta paura di morire, se morirai? Perché hai paura di vivere, se sei chiamato a vivere in eterno?” C’è posto per tutti, perché dove c’è una persona, c’è l’umanità intera.  E se noi rispettiamo la dignità, lì c’è l’umanità intera e se viene rispettata la mia, io posso soltanto rispettare la tua, non posso fare altrimenti.

Nell’enciclica che ci ha regalato papa Francesco, parla delle migrazioni e dice che l’arrivo di persone diverse può anche essere una ricchezza, perché rinnova il tessuto sociale, porta idee nuove, visioni nuove, pezzi di mondo, laddove il mondo ha bisogno di colori e fantasia per continuare a vivere, e non solo sopravvivere. Ma anche se non fosse così, senza ridurre questa analisi ad una forma di utilitarismo, esiste la gratuità. La capacità di fare alcune cose per il solo fatto che di per sé sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato. Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per averla, dunque tutti possiamo dare senza aspettarci qualcosa, fare bene senza pretendere altrettanto dalle persone che aiutiamo. È quello che Gesù diceva ai suoi apostoli: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. In questo dare, gratuitamente, risorge l’umanità in me, mentre risorge in te. Io non posso vivere, se tu non vivi.

Questa preghiera è per la vita in pienezza, che è responsabilità, accoglienza, fare spazio e dare gratuitamente.


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