Nel 2015 le attività di Pastorale Giovanile si sono focalizzate sulla tematica della solidarietà e del volontariato.
Il titolo “TRA-VOLTI”, assegnato al percorso formativo per i ragazzi di Santa Maria del Rovere e Pio X, non è stato posto a caso, bensì per spiegare come i ragazzi nel corso dell’anno abbiano potuto confrontarsi con VOLTI di realtà diverse della nostra società: anziani, bambini, disabili, stranieri.
I nostri ragazzi hanno dedicato un’ora a settimana ad attività di volontariato che spaziavano dal dopo scuola per bambini di elementari e medie presso la Comunità Murialdo e con l’associazione “Segno di alleanza”, al catechismo in parrocchia, la collaborazione con La Nostra Famiglia (gruppo “Dai che ce la fai”) o aiutando alcuni ospiti della residenza per anziani R. Zalivani a sentirsi meno soli trascorrendo con loro dei momenti ricreativi.
Gli adolescenti coinvolti in questo progetto, circa 40, sono stati TRAVOLTI dalla positività delle esperienze vissute che ha svelato loro sfumature della vita che solo l’amore e la solidarietà sanno donare.
Un progetto così ricco e intenso non poteva però concludersi con l’inizio dell’estate e, per dare ai ragazzi la possibilità di operare il bene anche in terre distanti da quella italiana, si è pensato di partire alla volta dell’Albania.
L’obiettivo di un viaggio così singolare è stato quello di portare fuori dall’Italia il GrEst (Gruppi Estivi), attività che, da vent’anni nella nostra parrocchia, è stata occasione d’incontro per ragazzi adulti e bambini nel corso dell’estate; ci si è detti: se qui a Treviso la nostra formula di semplicità, amore, condivisione funziona perché non dovrebbe funzionare anche in un altro paese?
I trenta ragazzi, partiti alla volta dell’Albania, hanno collaborato dal 3 al 9 agosto con le suore della congregazione religiosa femminile delle Missionarie della Carità (fondata nel 1950 da Madre Teresa di Calcutta), che da anni operano nella capitale Tirana e dintorni.
Il progetto è stato sostenuto anche dall’arcivescovo di Tirana Rrok Kola Mirdita e da sua eccellenza monsignor George Anthony Frendo.
Le attività di Grest si tenevano a Derven, un paesino a 30 chilometri da Tirana, presso un oratorio costruito in prefabbricato su di un vecchio bunker comunista.
Una giornata tipo prevedeva mezzora abbondante di strada in pullman per spostarsi dalla capitale (dove i ragazzi erano ospitati presso gli alloggi Caritas) a Derven che, trovandosi tra le colline e non essendovi strade ben asfaltate, era spesso difficile da raggiungere.
Per le 9.30 iniziavano le attività di gioco che terminavano due ore più tardi per il caldo e per dare la possibilità di tornare a casa a mangiare anche a coloro che abitavano più distante.
Il pomeriggio si ricominciava alle 15.00, ma i bambini arrivavano sempre prima: questo ci ha fatto capire quanto fosse importante il nostro ruolo per quella settimana, vi erano ragazzi che facevano anche 5 o 6 km a piedi per raggiungerci e venivano ogni giorno con il sorriso sulle labbra.
La presenza di corrente elettrica solo in brevi fasce orarie e l’assenza di acqua potabile a Derven, sebbene potessero rappresentare un notevole ostacolo allo svolgersi delle attività, si è invece rivelata occasione per comprendere e ridimensionare le priorità nella nostra vita.
L’idea iniziale era quella di proporre giochi a squadra durante la mattina e laboratori (costruzione di braccialetti e collane, ideare dei balli, dipingere) nel pomeriggio, ma le nostre iniziali progettazioni hanno spesso dovuto mutare in quanto non avevamo tenuto conto della diversità di cultura e delle singole esigenze dei giovani che ogni giorno sempre più numerosi si univano a noi: abbiamo imparato che i giochi all’aperto venivano più apprezzati di quelli sedentari, invece di imparare i nostri balli preferivano insegnarci i loro, i giochi più semplici come il “saltare la corda” o “palla avvelenata” erano i più apprezzati, e cosa ancor più importante: non si lamentavano mai per il caldo, per la stanchezza o perché non gli piaceva un gioco. Queste reazioni ci hanno sicuramente fatto riflettere sulle differenze tra bambini italiani, spesso viziati in cerca di giochi nuovi, più pigri e pronti a lamentarsi per qualsiasi cosa.
E poi c’erano le loro storie, ognuno di loro preveniva da famiglie, esperienze, problemi diversi, non mi riferisco a problemi del tipo “non so che liceo frequentare l’anno prossimo”, ma “non so se l’anno prossimo potrò ancora andare a scuola”, oppure “non voglio mangiare la pasta a pranzo” bensì “non so se la pagnotta di pane basterà per tutta la famiglia”. E ancora bambini che hanno visto il proprio padre uccidere la madre davanti ai loro occhi o ragazzi che badano ai fratelli più piccoli o ai cugini al posto dei genitori distanti per lavoro o per altri motivi.
Abbiamo imparato davvero molto da una popolazione per la quale spesso noi italiani tendiamo ad avere più pregiudizi che reali conoscenze.
Unico è il rispetto reciproco e la convivenza tra religioni diverse (mussulmani, cattolici, ortodossi): grazie a delle famiglie mussulmane è stato possibile ricostruire la chiesa di San Nicola a Derven.
Unica è stata la loro accoglienza nei nostri confronti, partendo dai bambini di Derven che ci guardavano sempre con un sorriso di ammirazione, per arrivare agli adulti che abbiamo conosciuto durante il viaggio: tutti provavano una stima e un amore così forte nei confronti della nostra patria che ci hanno fatto quasi sentire a disagio per quanto spesso la disprezziamo.
Per noi giovani l’esperienza in Albania si può riassumere come un’esperienza di vita, un’occasione di crescita, un momento di condivisione, possibilità di vivere un servizio di carità, tempo dedicato all’altro che ci ha permesso di capire ed analizzare noi stessi e il gruppo.