I poveri li avete sempre con voi - CARITAS TARVISINA

I poveri li avete sempre con voi

“I poveri si abbracciano, non si contano”

 

“I poveri li avete sempre con voi” è il titolo della V Giornata mondiale dei poveri che si celebra il prossimo 14 novembre. Con questa semplice espressione di Gesù, pronunciata pochi giorni prima degli eventi della passione, morte e risurrezione, si può sintetizzare il pensiero del Signore sui poveri. Davanti ai discepoli scandalizzati perché una donna aveva sprecato una somma ingente versando il profumo del vaso di alabastro sul capo di Gesù, questi afferma che il primo povero a cui dover porre tutta l’attenzione dovuta, è proprio a lui. Il Figlio di Dio non solo chiede di riconoscere in lui la persona che rappresenta tutti i poveri, si identifica come il più povero tra i poveri. “Il volto di Dio che Egli rivela, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri” (n. 2). Papa Francesco proponendo questa espressione provoca i credenti a tenere fisso lo sguardo su Gesù per scoprire che in lui e nelle sue parole si ritrova non solo il vero senso della povertà, ma soprattutto la capacità di riconoscere i poveri. L’immagine biblica, infatti, serve al Papa per evidenziare un percorso che non solo la Chiesa è chiamata a seguire in questo tratto di storia segnato ancora da forme di ingiustizia che diventano sempre più evidenti quanto più emergono le nuove espressioni di povertà. Il Messaggio, ancora una volta fa riferimento alla pandemia che “continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà” (n. 5). Il Santo Padre è ben cosciente delle conseguenze che ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti, a tal punto che “le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento” (n. 5).

Nel libro del Qoelet (3, 1-8) ci viene ricordato che “Nella vita dell’uomo, per ogni cosa c’è il suo momento, per tutto c’è un’occasione opportuna. Tempo di nascere, tempo di morire, tempo di piantare, tempo di sradicare, tempo di uccidere, tempo di curare, tempo di demolire, tempo di costruire, tempo di piangere, tempo di ridere, tempo di lutto, tempo di baldoria, tempo di gettare via le pietre, tempo di raccogliere le pietre, tempo di abbracciare, tempo di staccarsi, tempo di cercare, tempo di perdere, tempo di conservare, tempo di buttar via, tempo di strappare, tempo di cucire, tempo di tacere, tempo di parlare, tempo di amare, tempo di odiare, tempo di guerra, tempo di pace”. Questo è il tempo di un profondo cambiamento. È il tempo dell’ascolto. In sintonia con il processo sinodale, che papa Francesco ha stimolato, siamo chiamati a metterci in ascolto, a dare spazio alla sacralità dell’uomo, soprattutto dei più fragili e vulnerabili. Questo ulteriore appello si unisce alla dimensione generativa del cammino sinodale vissuto negli anni passati dalla nostra chiesa locale di Treviso. Ci chiede di vivere fino in fondo la chiamata ad essere chiesa in uscita, capace di abitare questa nostra storia all’insegna della responsabilità, della solidarietà e di relazioni fraterne che ci aiutino a ritrovare la bellezza dell’essere comunità. Lo scopo del Sinodo non è produrre documenti, ma «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani».

Abbiamo toccato con mano che la strada, che abbiamo imboccato, è sbagliata, ci sta portando alla distruzione. Come ricorda papa Francesco siamo chiamati ad attivare, nelle scelte quotidiane della vita, un processo di ecologia integrale che riconduca ciascuno alla responsabilità di custodire la casa comune, di onorare la dignità e la sacralità della vita di ogni uomo, di costruire percorsi di giustizia e pace. Si tratta di lasciarci rinnovare dal Vangelo per comprendere che la strada della verità e della libertà, della gioia e della pace è quella di riscoprire la fraternità. La pandemia ci ha detto che l’isolamento, inteso come mancanza di relazioni, porta la morte nel cuore. Molte persone si trascinano stancamente e senza speranza. Patiscono l’abbandono, non si sentono figlie di nessuno. Hanno smesso di sognare, di desiderare una vita migliore, non hanno più la forza di sperare e si lasciano inghiottire dal vortice della sfiducia e dalle tenebre delle loro paure. Siamo chiamati ad abitare questa periferia esistenziale, siamo chiamati a stare, a non fuggire. Nel cuore della notte, abbiamo il compito di riaccendere la speranza che il Signore ha riversato nei nostri cuori. Questa è la prima forma di carità che ci è chiesto di vivere in quest’oggi della vita. Sotto la guida dello Spirito Santo, abbiamo l’impegnativo ma meraviglioso mandato di riscoprire insieme la bellezza dell’umano, di cogliere che la pienezza del cuore è vivere fino in fondo l’umano. Su questo nessuno può essere lasciato indietro. È necessario che ci prendiamo cura, con pazienza e gentilezza, di chi ha riportato ferite più profonde, perché esposto alla prima linea dell’ingiustizia e del sopruso. Questa è l’epoca della responsabilità: “ciascuno sia il cambiamento che vuole vedere nel mondo” (M. Gandhi).

Come Caritas diocesana desideriamo porre tre gesti simbolici molto semplici. Il primo è quello di porre all’ingresso delle chiese un piccolo tappeto con la scritta “Non calpestare il povero”. Sovente restiamo imprigionati nelle nostre rigidità celebrative e non ci accorgiamo dei poveri che bussano alla nostra porta. Un modo semplice per chiederci quanto sappiamo accogliere e mettere al centro della vita delle nostre comunità i poveri. Un secondo è l’iniziativa “Cibo per l’anima”, proponendo a chi lo desidera di acquistare un libro (presso la libreria Lovat e le Paoline) da donare alla biblioteca per i poveri che vengono ospitati in Casa della Carità. Chi vive in difficoltà non ha bisogno solo di pane, ma anche di nutrire la propria anima ed il proprio cuore. È guardare alle persone in tutta la loro interezza. Un terzo è quello di andare insieme a pranzo con i poveri in un ristorante. Quello che per tanti di noi è una cosa normale, non lo è per questi fratelli. Condividere un pasto, avendo la possibilità di scegliere, di mangiare con calma, di vivere la gioia della tavola (non solo al ristorante, ma anche nel calore di una casa, di una famiglia) purtroppo per i poveri è un lusso che non si possono permettere. Questo segno vuole dare cittadinanza alla libertà di questi nostri fratelli e vuole ricordare a tutti che, con gesti semplici, possiamo diventare casa (magari instaurando una relazione e aprendo le porte di casa a qualcuno), oasi di libertà e di dignità per chi nel vortice tritatutto dell’ingiustizia, viene calpestato, ridotto a scarto, confinato nelle sabbie mobili dell’indifferenza e della solitudine.

Le parole di don Primo Mazzolari, che Papa Francesco fa sue nel messaggio di questa giornata, costituiscono la conclusione più significativa e provocatoria con la quale confrontarsi: “Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore… Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano” (n. 9).

10 novembre 2021

 

 

 


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