“Noi che siamo stati salvati siamo voce, siamo seme, siamo profezia di quello che Dio vuole per tutti i nostri fratelli“
La celebrazione del 50° di Caritas Tarvisina è un momento di chiesa molto prezioso ed un dono che apre alla memoria e alla gratitudine. Riempie il cuore di gioia sentirsi parte di un cammino più grande di noi, di un cammino fatto di tanti passi, di un cammino ispirato e custodito dall’Amore del Signore. Nel contemplare i passi compiuti in questi 50 anni riaffiorano alla memoria volti, storie, progetti … ma soprattutto quel filo rosso della Carità che accorcia le distanze e valorizza le diversità. È bello cogliere che pur nella fragilità e nella debolezza del nostro essere, il Signore parte dal nostro poco e lo rende fontana del villaggio, sorgente inesauribile di un bene generativo.
Questi 50 anni di Caritas sono un inno di gratitudine e di fiducia, perché il bene ha vinto il male, perché il noi è più forte dell’io. Sono anche un appello a continuare, ad essere capaci di tradurre nel concreto della storia la profezia della carità, abitando le periferie esistenziali, dando voce a chi non ce l’ha, essendo chiesa in uscita. Come diceva monsignor Giovanni Nervo, primo presidente e direttore di Caritas Italiana, si tratta di continuare a coltivare le “gemme terminali”. Si tratta di cogliere che ogni situazione di fragilità è un’opportunità per un cambiamento, per un rinnovamento. Nel cuore di ogni notte è contenuto già il primo raggio del nuovo mattino. Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa agli altri e nessuno è cosi ricco da non aver bisogno di ricevere qualcosa dagli altri. È questa la storia di questi 50 anni e la bellezza è che è fatta insieme, fatta insieme al Signore e a molti fratelli. È lo stupore di un amore che sempre ci precede, ci sorprende e ci supera.
Dinanzi alle sfide attuali e al clima cupo, anche Caritas vive il rischio di vivere la propria missione, schiacciata dal peso dei bisogni e delle paure. È necessario ricordarsi, proprio in questo anniversario, che la sorgente è il Signore. È fondamentale affidarsi a Lui e ricordarsi che compito fondamentale della Caritas è annunciare il Vangelo. Con molta umiltà si tratta di riconoscere che il per primo di Dio, del suo infinito amore. Per sottolineare questa necessità di camminare insieme e di centrare l’azione pastorale di Caritas su Gesù Cristo, ho trovato molto stimolante e significative le parole, che riporto di seguito, tratte da un’omelia di Mons. Delpini, arcivescovo di Milano.
“Il mondo è rovinato! Il mondo deve essere aggiustato! Come si fa ad aggiustare il mondo? I sapienti e i potenti decretarono: Per aggiustare il mondo ci vogliono la scienza e la disciplina. Ci vogliono l’organizzazione e l’efficienza. Ci vuole chi produce e chi compra. Se l’economia va bene, tutto va bene. Quindi scelsero manager e scienziati, politici ed esperti di marketing. Diedero mandato di mettere mano all’impresa di aggiustare il mondo. Si impegnarono molto con le loro cravatte azzurre e le loro macchine a controllo numerico, efficienti e instancabili come non mai. Ma dopo la rivoluzione 4.0, dopo che le macchine furono in grado di produrre senza mai stancarsi ogni meraviglia, il mondo non era affatto aggiustato: era più triste, era più rovinato di prima. Il Dio altissimo radunò il suo consiglio, i cherubini e i serafini, i profeti e i dottori per deliberare. Erano tutti d’accordo: Il mondo è rovinato! Il mondo deve essere aggiustato! Come si fa ad aggiustare il mondo? Ma nel silenzio generale si fece avanti niente meno che il Figlio. Disse: Padre, eccomi, manda me! Un fremito di commozione percorse tutto il consiglio del Dio altissimo. Il Padre disse: Come potrai, Figlio mio? Così, solo? È pericoloso. Dovrai farti accompagnare da dodici legioni di angeli!”. “No, Padre, mi presenterò come vittima di espiazione per i peccati di tutti … andrò in tuo nome come salvatore del mondo”. “Come potrai, Figlio mio?” “Andrò, come un seme che muore per portare molto frutto. Sarò un seme che trova il terreno buono nel cuore di uomini e donne che accoglieranno il comandamento dell’amore, perché siano una cosa sola, come tu Padre sei in me e io in te. Chiamerò per nome uomini e donne che siano buon terreno, li chiamerò per nome e li renderò capaci di amare. Insegnerò l’arte di amare, a ciascuno di quelli che vorranno: l’arte di amare, come una avversativa alla logica del mondo. Amare invece dell’indifferenza. Amare e servire invece di farsi servire. Amare tutti, invece che amare solo gli amici. Amare e non solo fare un po’ di bene. Amare per seminare il principio del regno, invece che accontentarsi di buone azioni. Amare, per dare un volto nuovo al convivere di tutti invece che stare ai margini a raccogliere gli scarti. Amare per diventare figli del regno, invece che per coltivare buoni sentimenti precari. Amare per diventare amabili, rivestiti di sentimenti di tenerezza, di bontà, di mansuetudine, di magnanimità, invece che essere solo efficienti fornitori di servizi. Amare per essere fermento di amore nel mondo, invece che appartarsi in rassicuranti mondi separati. Amare per essere lieti e cantare con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio, invece che fare, fare, fare ed essere di malumore e lamentosi e severi nel giudicare. Insomma farò così, Padre, sarò come un seme che muore e mi consegnerò a uomini e donne di buona volontà perché siano principio di un mondo nuovo, perché siano con me nell’impresa di aggiustare il mondo”. Allora il Padre si commosse profondamente e ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. E gli disse: “Va’, Figlio mio, va’! certo il tuo seminare porterà molto frutto e a uno a uno si faranno avanti uomini e donne di buona volontà e il seme, di giorno e di notte, senza che gli uomini se ne avvedano, crescerà e porterà frutto dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento per uno. Non c’è altro modo di aggiustare il mondo che quello del seme che muore. Va’, Figlio mio!”.
Celebrando 50 anni di Caritas non ci basta di dire grazie, non ci basta di elencare le opere compiute e i progetti futuri. Quello che ci importa è farci avanti, ancora, a uno a uno per praticare la logica del seme e non accontentarci di operare bene facendo il bene, piuttosto ci sentiamo parte dell’impresa di aggiustare il mondo praticando l’amore: in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati … attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Cioè la Caritas, come tante altre imprese che rendono vive le nostre comunità, non sono solo il pronto soccorso per le emergenze, non sono solo l’ospitalità per quelle persone che nessuno vuole ospitare. Noi siamo convocati per questa impresa: costruire un modo nuovo per vivere in questa terra, in questa società, in questa città. La Caritas, come le opere educative della comunità cristiana, come tutte le altre opere assistenziali, come tutte le altre opere di impegno, non svolge un compito che deve restare nel suo settore in cui si sente capace, organizzata, pronta per far fronte alle emergenze. Gli operatori della Caritas con quanti sono impegnati nei vari aspetti della Chiesa, devono essere insieme con Gesù, coloro che indicano la via che può consentire di aggiustare il mondo. Tutto il mondo, tutti gli aspetti della vita invocano un salvatore. Noi che siamo stati salvati siamo voce, siamo seme, siamo profezia di quello che Dio vuole per tutti i nostri fratelli.
Don Davide Schiavon
2 maggio 2023