“Vegliare, non è tanto un monito ad avere paura, a vivere nell’ansia dell’arrivo del padrone o nel timore che ci colga alla sprovvista, ma una chiamata a vivere nella responsabilità delle proprie scelte di vita, un invito a far buon uso della libertà che ci ha donato, affinché possa essere impiegata per il proprio bene e per quello altrui.”
VEGLIATE: NON SAPETE QUANDO IL PADRONE DI CASA TORNERÀ
Dal Vangelo secondo Marco (13, 33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
RIFLESSIONE
testo di Alice e Chiara, giovani dell’Anno di Volontariato Sociale 2019-20
Il brano del Vangelo di Marco è un invito a rimanere desti e a vigilare in attesa dell’arrivo del Signore. Un’attesa che può essere interpretata da diverse angolature e quindi suggerire significati diversi; a noi la frase: “Vegliate, non sapete quando il padrone di casa tornerà” ha ispirato una riflessione e dei sentimenti che ci spronano ad operare con rinnovata fiducia. Vegliare, non è tanto un monito ad avere paura, a vivere nell’ansia dell’arrivo del padrone o nel timore che ci colga alla sprovvista, ma una chiamata a vivere nella responsabilità delle proprie scelte di vita, un invito a far buon uso della libertà che ci ha donato, affinché possa essere impiegata per il proprio bene e per quello altrui. Ci fa pensare ai momenti in cui capita un’occasione imperdibile, ad esempio momenti in cui una nuova persona entra nella nostra quotidianità e col passare del tempo ci rendiamo conto che la nostra vita sarebbe stata completamente diversa se non ci fosse stato quell’incontro. Oppure ad un’occasione che ci viene presentata e che decidiamo di cogliere al volo, la quale aprirà la strada a molte altre opportunità. Se, però, quella volta non fossimo state vigili e attente, se non avessimo detto sì, probabilmente staremmo percorrendo un altro sentiero. Ripensando a quanto vissuto in Caritas lo scorso anno con l’Anno di Volontariato Sociale (AVS), questo Vangelo assume una forma molto concreta. Quando abbiamo conosciuto la proposta dell’AVS poteva sembrarci una proposta come tante altre, invece racchiudeva in sé qualcosa di unico per la nostra vita. Se non “avessimo vegliato” forse ci saremmo perse un’occasione irripetibile e tanti incontri fondamentali per la nostra crescita personale. Quindi “vegliate” per noi significa vivere ogni giorno della propria vita dando importanza a tutto ciò che succede, a tutte le persone che incontriamo, a tutte le briciole di pane che vengono lasciate sul sentiero. Questo Vangelo ci ricorda, non solo di stare sempre attente perché ogni momento può essere quello giusto, ma a maggior ragione ci invita ad allenarci ad avere uno sguardo aperto ed il cuore pronto ad accogliere nuove opportunità che Dio ci offre sulla nostra strada.
ATTUALIZZAZIONE
tratta dagli scritti di Padre Jihad Youssef “Abbiamo fame e nostalgia dell’Eucarestia”, Ancora, 2018 pp. 49-5
Padre Jihad Youssef tra il 2016 e il 2017 visita i profughi cristiani provenienti dall’Iraq, che vivono in Turchia. Ne nasce un commovente diario di viaggio, che testimonia la fede ardente di un popolo perseguitato, ma che vive nell’attesa del Signore Gesù, un popolo che ha “fame e nostalgia di Eucarestia”. Uomini capaci di vegliare.
Il 29 dicembre 2016 scrive P. Youseff: «Cambio città attraversando bellissimi e ampi spazi coperti di lana bianchissima detta neve. Arrivo a Aksaray, dove ci sono circa 130 famiglie cristiane. Vado subito nella sala prenotata per la celebrazione eucaristica con quasi 200 persone. Dopo pranzo mi portano in un albergo per evitare problemi di gelosia, mi hanno detto, tra le famiglie che vorrebbero ospitarmi. E io obbedisco. Per la prima volta faccio pennicchella dopo pranzo per cominciare il giro delle visite degli ammalati. Uscendo mi sembrava che la giornata sarebbe stata normale, che non ci sarebbe stato nulla di speciale. Poi mi sono detto: “Non metto limiti alla provvidenza, forse il Signore la pensa diversamente“. Effettivamente mi vergogno di aver pensato come se avessi conosciuto il futuro o come se avessi perso la fiducia in Dio. Di fatto nella prima casa ho trovato la prova contraria: entro e saluto. Un uomo settantenne risponde al saluto con un cenno della mano, pensavo che non parlasse o almeno non intendesse parlare. Lui invece cercava di trattenere la sua commozione e stava per riuscirci, ma subito è esploso in un pianto. Le prime lacrime escono generose, faccia arrossita con quella voce del respiro soffocato che accompagna il pianto. Dico: “Ti porto la comunione” e lui “Ti ringrazio” e piange di nuovo. Poi dice: “Mi è tornata la vita.” Mentre gli davo l’unzione degli infermi piangeva come un bambino. Poi ha ricevuto la comunione tutto contento. Non la riceveva da più di due anni. Ho detto il Padre Nostro in arabo con lui, suo figlio e i suoi nipoti, che avevano occhi bellissimi e sorridenti: mi ha riempito il cuore di gratitudine e vergogna. Lo abbraccio prima di ripartire e lo stringo mentre mi ringrazia, e di nuovo esplode in lacrime…e a quel punto anch’io! Nelle altre visite non sono mancate le lacrime, anche se più timide, ma c’è stata una grande presenza di bambini che pregavano calorosamente e sostenevano il mondo. Ho visto volti belli e luminosi e sorrisi sinceri di persone che vivono l’amarezza e l’umiliazione dell’attesa incerta in situazioni economiche precarie. Qui si ripete il dramma dei bambini senza scuola chiusi tra le quattro mura di casa. L’ultimo incontro è stato molto importante, delicato e complesso, ma non posso entrare nei dettagli. Riguarda il mistero di Dio che incontra chi vuole e come vuole. Ora che sono le 00.54 prima di buttarmi nel letto vorrei mettermi in preghiera, nel sacro silenzio per ringraziare il maestro, il grande artista e Signore della storia per la sua generosità e dolcezza ma anche per pentirmi dei miei peccati. Maranathà!»
PROPOSTA DI ANIMAZIONE
In questa prima domenica di Avvento, noi che non siamo cristiani perseguitati, noi che possiamo accostarci alla Messa ogni giorno, noi che diamo per scontato l’incontro con il Signore Gesù, possiamo chiederci quanto abbiamo “fame e nostalgia dell’Eucarestia”. Siamo ancora capaci di trepidare nella Sua attesa? Ci sappiamo commuovere nell’incontro con Lui, quando ci accostiamo alla Sua Mensa o anche quando tocchiamo la sua carne nel povero che incontriamo?
PREGHIERA
COME VORREI CHE TU VENISSI
Come vorrei che tu venissi
Come vorrei che tu venissi tardi,
per avere ancora tempo di annunciare
e di portare la tua carità agli altri.
Come vorrei che tu venissi presto,
per conoscere subito, alla fonte, il calore della carità.
Come vorrei che tu venissi tardi,
per poter costruire nell’attesa,
un regno di solidarietà, di attenzione ai poveri.
Come vorrei che tu venissi presto,
per essere subito in comunione piena e definitiva con Te.
Come vorrei che tu venissi tardi,
per poter purificare nell’ascesi,
nella penitenza, nella vita cristiana la mia povera esistenza.
Come vorrei che tu venissi presto,
per essere accolto, peccatore, nella tua infinita misericordia.
Come vorrei che tu venissi tardi,
perchè è bello vivere sapendo che tu ci affidi
un compito di responsabilità.
Come vorrei che tu venissi presto,
per essere nella gioia piena.
Signore, non so quello che voglio,
ma di una cosa sono certo:
il meglio è la tua volontà.
Aiutami ad essere pronto a compiere
in qualsiasi tempo e situazione
la tua volontà d’amore per noi,
adesso e al tempo della mia morte.
Amen