Sfregi alla fraternità - CARITAS TARVISINA

Sfregi alla fraternità

“Sta a noi ripartire da certe ferite per costruire, in maniera generativa e creativa, qualcosa di buono che porti del bene a tutti

 

In questi giorni nel nostro territorio si sono abbattute delle violente grandinate che hanno recato ingenti danni a molte coltivazioni. I germogli primaverili che stavano cullando la lenta e progressiva maturazione di promettenti fioriture, sono stati feriti, lacerati, spazzati via. Dinanzi alle piante ferite, l’agricoltore, con il cuore in gola, con fiducia e pazienza si rimette in moto, non si lascia rubare la speranza. Crede fermamente che quelle piante si riprenderanno e daranno ancora frutti belli e buoni. È convinto, anche se ci sarà da stringere i denti, che la vita trionfa, non si arresta neanche dinanzi al più grande disastro. Riparte da quelle ferite, per rinascere e lo fa amando e curando madre terra in maniera più forte di prima. Ci crede fermamente e si rimette in gioco alla ricerca di un domani più luminoso. È abitato profondamente dalla speranza e sa che nessuno gliela può strappare dal cuore.

La pandemia ha lasciato ferite profonde nel cuore dell’umanità. La sofferenza e la morte hanno segnato il nostro quotidiano riconsegnandoci la consapevolezza della nostra fragilità. Tutti, bambini e anziani, uomini e donne abbiamo sofferto la mancanza della nostra libertà, ci siamo trovati a calcare i sentieri di una “vita forzata” che gran parte di noi non conosceva o non ha mai conosciuto (purtroppo non è così per tanta parte dell’umanità). Abbiamo avvertito il peso di relazioni costrette e contingentate. Come una pianta ferita dalla grandine, anche i nostri cuori hanno avvertito il dolore e sono stati imprigionati dalla paura e dalla sfiducia. Abbiamo stretto i denti e ora, grazie ai vaccini (purtroppo solo per la parte più ricca del mondo) stiamo intravedendo una luce all’orizzonte. Avvertiamo, sempre con una certa prudenza, che la dura lotta sembra volgere al meglio. La vita vince e vincerà!!!

La prospettiva dentro la quale stiamo vivendo questo tempo è quella di ritornare alla “normalità”. Ma cosa significa questo? Se normalità vuol dire ritrovare le coordinate della libertà, delle relazioni, della comunità… allora adoperiamoci insieme a far sì che questa “normalità” tracci il sentiero delle nostre scelte e della nostra vita. Ma se “normalità” significa tornare a vivere le stesse modalità che era presenti prima della pandemia, in maniera molto franca mi sento di dire che non ci sto. Spetta a tutti noi rialzarci dopo la violenta tempesta che si è abbattuta sulle nostre esistenze e lo dobbiamo fare insieme. Sta a noi ripartire da certe ferite per costruire, in maniera generativa e creativa, qualcosa di buono che porti del bene a tutti. Credo sia importante desiderare una quotidianità diversa, non così normale e scontata, soprattutto se ciò rimanda alle logiche dell’indifferenza e dello scarto. La normalità, prima della pandemia, si era incagliata nei bassifondi dell’assuefazione all’ingiustizia, alle diseguaglia, ai soprusi, alla vita calpestata. Ci siamo abituati, con il passare degli anni, che l’iniquità e la vita calpestate, fossero un prezzo inevitabile da pagare per la comunità umana. Abbiamo fatto rientrare nei parametri della normalità il fatto che i più deboli e fragili non contano, non hanno voce, non hanno diritto di essere… li abbiamo ridotti a capitoli di spesa, a presenze fastidiose che è meglio relegare in un angolino. Siamo riusciti, con equilibrismi ipocriti, ad accordare persino il Vangelo con questa prassi disumanizzante. Siamo precipitati in una schizofrenia esistenziale dove l’unico centro di interesse è rimasto quello di salvaguardare il benessere del proprio ombelico. Io non voglio, non desidero tornare a questa normalità. Per noi che siamo nella parte dei forti è certamente rassicurante, ma, guardando a tutti e ascoltando il grido di ogni persona, mi sento di affermare con forza che quella normalità (le cui lusinghe velenose hanno inquinato anche me) è un grave tradimento all’uomo, a quel progetto di verità e libertà nel quale da sempre il Signore ci ha voluti e coinvolti.

Non desidero una normalità basata su queste logiche disumanizzanti. In queste ore mi fa molto riflettere come un paese (Israele) che sta vincendo, con l’immunità di gregge, la battaglia della pandemia, non abbia aspettato molto tempo ad alimentare venti di guerra. Similmente, anche per il nostro paese, provo grande dolore nel vedere l’impegno alla fraternità sfregiato da logiche individualiste e cariche di velenosa aggressività. La pandemia sta allentando la sua presa (almeno così sembra e speriamo) e subito si rimpolpa la dinamica della paura. È ripartito il fluire (soprattutto a livello politico) di parole “inumane” verso i migranti, verso i marginali, verso i vulnerabili. Il potere per consolidarsi si nutre di ipocrisie e alimenta la paura. Facilmente si dimentica che siamo tutti sulla stessa barca e che il prezzo più alto, in ogni situazione difficile, lo pagano sempre i più poveri.

Se non riusciamo ad estirpare dal nostro cuore questo virus del potere, del sopruso sull’altra, potremo attraversare tante tempeste, ma continueremo sempre a calpestare la vita e a vivere nella paura. Ogni guerra, ogni forma di potere e dominio sull’altro è un’avventura senza ritorno. Se ritrovata la normalità, la riempiamo di queste logiche vuol dire che abbiamo smarrito la speranza, che non siamo più in grado di vivere la fraternità. È fondamentale che ritroviamo la fiducia dell’agricoltore, che crediamo nell’uomo, che custodiamo la vita sopra ogni cosa. Come il contadino siamo chiamati a prenderci a cuore, a farci carico della fatica necessaria, a prenderci cura dell’albero della vita perché il frutto del bene sia gustato da ogni uomo, in ogni angolo della terra ed in comunione con tutti gli altri uomini. Crediamoci!!!

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25 maggio 2021


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