All’inizio del 2021 il Vescovo, a fronte del perdurare della pandemia e dei suoi effetti sociali ed economici, ha lanciato un interessante progetto di solidarietà per tutta la diocesi dal titolo: “Sta a noi – per un patto di comunità”.
Una categoria di “soggetti” destinatari di tale progetto sono state (e lo sono ancora) le micro-imprese, fornendo loro la possibilità, tramite la Caritas, di accedere a prestiti o finanziamenti garantiti.
Quando tale progetto ha incominciato a prendere corpo, come Tavolo promotore ci siamo posti una domanda: “Come dare un significato ‘generativo’ a un aiuto finanziario che viene messo a disposizione di un’impresa che ne ha bisogno?”.
Dal confronto è emersa una lettura della realtà delle micro-imprese che, senza voler semplificare troppo, mostra queste due caratteristiche:
– Il nostro territorio è caratterizzato da numerose micro-imprese, spesso nate dall’intuizione di un “lavoratore dipendente”, che, a seguito delle competenze maturate nel proprio lavoro, ha deciso di mettersi in proprio, ma qualche volta rischia di “non aggiornarsi”;
– La realtà della micro-impresa ha dalla sua parte una caratteristica molto importante, che è l’elevata flessibilità, che le permette di acquisire “molti lavori”, ma dall’altra corre il rischio di rimanere “imbrigliata” dall’intensa operatività, dimenticando di “alzare lo sguardo” per cogliere le nuove necessità che potrebbero sorgere dal mercato.
Il mancato “aggiornamento” e la difficoltà ad “alzare lo sguardo”, purtroppo, nei momenti di crisi rischiano di diventare macigni che rallentano il passo dell’impresa e, conseguentemente, possono generare “affanno finanziario”. E questo con un impatto anche sulla comunità in cui l’impresa opera, a partire dai lavoratori che in essa collaborano.
Ecco perché, come Tavolo promotore, nell’ambito del progetto del micro-credito, si è voluto dare un significato nuovo al possibile sostegno finanziario proposto: stringere un patto fra chi ha bisogno d’aiuto e chi lo offre, in cui un pilastro fondamentale è l’impegno a “rimettersi in discussione” (in senso positivo); di fatto accettare di “re-imparare” il “mestiere”, dotandosi anche di strumenti tipici della gestione d’impresa: saper pianificare il proprio sviluppo (grazie all’esplicitazione della propria strategia in un piano industriale), valorizzare le risorse umane, aiutandole a crescere continuamente nelle proprie competenze, controllare l’andamento aziendale, avendo il coraggio di incominciare a leggere i numeri di bilancio con un po’ più di trasparenza e oggettività. Di fatto dal finanziamento, necessario per sostenere l’impresa in un momento di debolezza finanziaria, poter generare una nuova cultura d’impresa, più consapevole e più attrezzata ad affrontare le sfide dei mercati di oggi. L’impresa che “sta bene”, permette anche ai propri lavoratori, ai propri fornitori, clienti, alla comunità in cui opera, di “stare bene”.
Questo approccio ha portato anche a stringere belle e interessanti relazioni di collaborazione con le associazioni di categoria che nel giugno del 2021 hanno sottoscritto il Protocollo di intesa.
Spesso imprese e Chiesa sembrano distanti; mondi destinati a non incontrarsi mai. Questo progetto, invece, sta dimostrando come “impresa” e Chiesa possono camminare insieme, in una relazione dove la solidarietà condivisa (all’interno dell’impresa, ma anche tra Chiesa e impresa), può generare veramente un nuovo modo di intendere l’economia, dove la persona, l’imprenditore, e la sua creatività diventano a loro volta strumento per costruire la “casa comune” per tutti gli uomini.
Laura Agnoletto, per “La Vita del Popolo”
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