Tendi la tua mano al povero - CARITAS TREVISO

Tendi la tua mano al povero

Un mondo nuovo, una chiesa nuova non li troveremo mai già fatti e confezionati, ma siamo chiamati a costruirli, tirando fuori quello che abbiamo dentro, ciò che è stato seminato in noi da Dio.

La pandemia ha segnato quest’anno le nostre vite e anche l’azione pastorale della chiesa e di Caritas. Come ogni anno avevamo programmato le nostre iniziative, i corsi di formazione, le attività. Improvvisamente è arrivato il COVID-19 e tutto si è bloccato. È facile cadere nella tentazione di dire che abbiamo perso un anno, che gli obiettivi fissati per questo tempo devono essere recuperati. C’è il desiderio di riprendere quella “normalità” che prima ci era tanto di ingombro e che ora agogniamo come una boccata d’aria pura. Credo sia importante leggere questo tempo alla luce della Parola di Dio per non scivolare sul piano di interpretazioni trancianti che dividono la realtà in bianco e nero, senza riconoscere tutte le sfumature che colorano la nostra umanità. È importante che, sia a livello individuale che a livello comunitario, riconosciamo che siamo sempre in cammino.

Ogni giorno è un nuovo inizio e ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo, a mettere sul piatto della condivisione e del dono quelle che sono le proprie capacità e le proprie risorse. Un mondo nuovo, una chiesa nuova non li troveremo mai già fatti e confezionati, ma siamo chiamati a costruirli, tirando fuori quello che abbiamo dentro, ciò che è stato seminato in noi da Dio.

Ogni giorno dobbiamo metterci in cammino, non dobbiamo mai sentirci degli arrivati. Questo vale soprattutto in Caritas, dove è facile quantificare il servizio, l’aiuto dato ai poveri. Non basta!!! Ci è chiesto molto di più, perché ci è stato dato molto di più. Non siamo chiamati a soddisfare dei bisogni partendo dalle nostre posizioni di potere (diamo perché abbiamo), ma siamo chiamati a tessere relazioni di fraternità, perché questa è la nostra verità. Il povero prima di essere un bisognoso, è un uomo ed è mio fratello. La pandemia ha aperto questa ferita e in molti c’è stato un sussulto di umanità (specie nei giovani). Però, purtroppo, appena la virulenza del virus ha allentato (almeno così è parso a molti) la presa, quella ferita di appello alla vita e alla solidarietà si è presto rimarginata. Dobbiamo riscoprirci in cammino, se ci sentiamo degli arrivati perdiamo la nostra anima di pellegrini e ci auto confiniamo nella ricerca spasmodica del nostro benessere individuale. Si apre il tempo della resilienza a queste subdole tentazioni che continuano a lacerare il tessuto delle relazioni e della fraternità.

Come, più volte ci è annunciato nel Vangelo, Gesù ci invita a passare all’altra riva, a solcare le onde delle nostre paure e delle nostre esitazioni. Ci sono nuovi orizzonti da esplorare, c’è una libertà profonda da riscoprire e un’umanità da amare con tutta l’ampiezza del nostro cuore. L’azione caritativa non può rimanere ostaggio di programmi, scadenze, contabilità, piani pastorali … deve essere il dono dell’amore e della speranza di Gesù Risorto. La carità è giocarsi fino in fondo immergendoci nella Pasqua di Cristo, è morire al proprio egoismo per vivere solo per amore. Siamo fatti per prendere il largo, non possiamo accontentarci di rotte di piccolo cabotaggio, sotto costa. Il rischio è quello di incagliarci nei bassifondi della mediocrità e delle ambiguità. La pandemia, anche come chiesa e come Caritas, ci ha fatto intravedere l’altra riva, una possibilità nuova: non torniamo indietro per paura di perdere i nostri privilegi!!!

Siamo tutti sulla stessa barca, ma qualcuno è schiacciato nella stiva o negli angusti spazi del vano motore. La dignità e la libertà dell’uomo non si possono barattare, non sono mai in vendita. Ognuno è fatto per la vita e non per la sopravvivenza. È questo il primo appello di cambiamento che questo tempo pastorale, segnato dalla pandemia, lancia alla nostra chiesa e alle nostre Caritas. È necessario passare dall’altra riva!!!


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