A tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina (24 febbraio) pubblicchiamo un articolo scritto da Enrico Vendrame, che ha intervistato Viviana Calmasini, operatrice trevigiana di Caritas italiana in loco.
“Molte persone e molti dei soldati che tornano dal fronte cominciano ad avere disturbi da stress legati alla durata del conflitto. Hanno difficoltà a ritrovare una normalità. Hanno subito forti traumi fisici e psicologici in questi tre anni di guerra”. E’ il diario di guerra che Viviana Calmasini, operatrice trevigiana di Caritas italiana, ci racconta al telefono da Lviv (da noi conosciuta come Leopoli, ndr) su quanto sta accadendo dal paese che per le sue estensioni è chiamato la ‘Porta d’Europa’.
Un Paese in guerra. “Seppure tutto il Paese sia in guerra a Lviv non ci sono i problemi che ci sono al fronte. Non ci sono edifici che crollano, muri e tetti squarciati. Ci sono meno blackout elettrici… Però l’Ucraina tutta è in guerra per vari motivi.
La prima ragione è di natura demografica. Tutte le persone che erano attive o se ne sono andate o sono state chiamate in guerra. Le persone rimaste sono in prevalenza persone anziane, con malattie croniche o con disabilità.
La seconda ragione è di natura economica. Il Paese è stato travolto nel giro di pochi anni da un’inflazione galoppante, dal crollo della grivnia (la moneta locale) e il fatto che il costo della vita è proprio aumentato.
La terza ragione è di natura sociale. Tre anni di guerra hanno portato a spostamenti e divisioni dei nuclei familiari e delle comunità di appartenenza.
La cd. generazione Z ucraina sta sprofondando così in una profonda depressione con molte ferite invisibili. Nati dopo l’indipendenza dalla Russia, sono sprofondati in una guerra d’altri tempi che avevano sentito solo nei racconti dei loro genitori o nonni. “Le persone che già prima facevano fatica – sottolinea Viviana – adesso non riescono a mettere il cibo sulle proprie tavole. Spesso queste sono le persone più vulnerabili”.
Le fratture sociali. “Chi è andato in guerra ha abbandonato moglie, famiglia, amici e carriera, infrangendo i loro sogni di futuro in un paese che aveva un’economia in forte crescita prima del conflitto. Ci sono persone rimaste sole perché il figlio è andato in guerra o perché la figlia è scappata all’estero e quindi si trovano completamente abbandonate nelle relazioni familiari e sociali”.
Tre anni di guerra hanno trasformato un popolo che non vuole arrendersi alla storia di essere sottomessi ai russi. Secondo i dati delle autorità 4 ucraini su 5 hanno perso almeno un familiare o ne ha uno ferito a causa della guerra. 12 milioni tra uomini, donne e bambini soffrono di uno stress post-traumatico più o meno grave. “Chi rientra dal fronte presenta problematiche mentali tali da non riuscire a reintegrarsi subito nella società, non riescono a trovare la motivazione per vivere e a cercare lavoro, non riescono a reinventarsi e si danno all’alcolismo e alle sostanze”.
I servizi psichiatrici del Paese sono congestionati e le autorità cominciano a capire la portata e le conseguenze del fenomeno. “Mi occupo del progetto ‘RISE’, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, gestito dal Cuamm Medici per l’Africa in collaborazione con Caritas Italiana, che si svolge nella città di Drohobyč, regione di Lviv, con finalità in ambito socio-sanitario con cure mediche a domicilio”, ci dice Viviana.
La diaspora ucraina. Secondo recenti stime, i rifugiati ucraini nell’Unione europea sono almeno sei milioni. Col proseguire della guerra di aggressione russa, una fetta sempre più larga di chi ha abbandonato il paese dichiara di non voler tornare, nonostante i problemi di una vita lontano da casa.
Se la fine della guerra in Ucraina è talvolta difficile da pensare, non è solo a causa delle fluttuazioni della situazione sul fronte e dell’equilibrio delle forze, ma anche per la difficoltà di definire ciò che può costituire una vittoria o una sconfitta, e di concepire il punto finale della guerra in questa situazione di fluidità dei suoi limiti.
Questo comporta difficoltà a pensare al domani a chi nel frattempo ha cominciato a ricostruirsi una vita all’estero. “C’è una generazione di uomini perduta che una volta terminata la guerra non sarà in grado di riprendersi facilmente. Non sarà in grado di portare avanti l’economia di un paese che, di per sé, non appena la guerra finisce è pronto ad un boom economico. Un po’ perché ci sono gli investimenti che aspettano, un po’ perché questo paese era pronto al boom economico già prima della guerra”. Il futuro però si fa roseo perché sostiene Calmasini “saranno le donne a portare avanti la ricostruzione dell’Ucraina, assieme ai loro figli. Io credo che molte donne che sono scappate all’estero rientreranno, anche perché in Ucraina c’è un patriottismo fortissimo. Gli ucraini, nonostante tutto, amano questo paese”.
I servizi fanno acqua. A Lviv, come più in là a Kyiv, Odessa o Kharkiv, “la sfiducia degli sfollati interni si percepisce chiaramente. Sono persone che hanno tantissimo bisogno di aiuto”, continua a raccontarci Viviana. “I servizi si sono trovati completamente sommersi di richieste a cui non riescono a rispondere. A ciò si deve aggiungere che il governo centrale, per finanziare l’azione militare, non sta finanziando tantissime attività”.
Per capire i costi della guerra sulla popolazione ci riporta uno spaccato del suo lavoro quotidiano fatto di incontri con persone, operatori, chiese locali e amministratori. “Qualche giorno fa in un incontro tecnico con il sindaco di Drohobyč ci è stato spiegato che fino a tre anni fa l’acqua potabile era gestita dal governo centrale oggi non lo è più. Ogni città e territorio deve utilizzare fondi propri per avere l’acqua potabile, non comprendo più i costi dei servizi socio-sanitari”.
Rifarsi una vita. Secondo alcune stime sono oltre otto milioni, ma il loro numero preciso è sicuramente maggiore e non facilmente censibile. Molti di loro si sono già spostati in più zone, parte ha già fatto ritorno alle loro abitazioni almeno una volta bombe e russi permettendo. Il desiderio di tornare a casa si mescola con un po’ in colpa per essersene andati così rapidamente magari avendo lasciati solo i genitori anziani.
“Rifarsi una vita in Ucraina, lontano dal proprio tetto e pezzo di terra non è facile”, ci dice Viviana. “Lviv, città dove opero, è la salvezza ma anche una disgrazia per gli sfollati o per i militari feriti o depressi che tornano dal fronte. Chi arriva qui, lontano dal rumore quotidiano dei mortai, deve arrabattarsi per trovare una sistemazione e vivere con i pochi sussidi che arrivano. L’inflazione è alle stelle. Il lavoro spesso non c’è. Mancano le medicine e i servizi di base, perché la stragrande maggioranza delle risorse sono destinate alla guerra”.
Cresce la povertà. “È una vita di stenti quella che le grandi città riservano agli sfollati. Per questo l’altro volto della guerra – di cui se ne parla troppo poco, sottolinea l’operatrice Caritas – è la povertà. Secondo le statistiche, se il conflitto in Ucraina continuerà ancora a lungo, il 90% della popolazione potrebbe ritrovarsi al di sotto della soglia di povertà. Gli effetti della crisi cominciano già ad essere evidenti e a pesare. Manca il cibo e le persone hanno fame”.
L’aiuto della Caritas. In questa situazione di precarietà in tanti si rivolgono alla Chiesa. Per il cibo. Per i vestiti. Per i pannolini o il latte in polvere del figlio neonato. Per pagare l’affitto di un appartamento. Per le cure mediche.
“Poi ci sono le persone con disabilità, le persone con disagio mentale e gli anziani: quelli fuggiti dalle regioni ancora in mano russa o quelli rimasti soli perché tutta, o in parte, la famiglia si è trasferita in Europa”. Ci precisa Viviana che “le aree di intervento di Caritas italiana, attraverso le due Caritas nazionali, sono la prima emergenza, l’area sanitaria, la disabilità. Due sono i progetti principali in corso, sostenuti anche con i fondi della cooperazione italiana: uno in Ucraina centrale e orientale, zona di Kharviv e Dnipro, l’altro in Ucraina occidentale nella regione di Lviv”.
Conclude precisando come la loro presenza come operatori umanitari sia molto apprezzata e, a dire degli ucraini, dia loro la forza al pensarsi come europei e sentirsi parte dell’Europa.
Per leggere la scheda preparata da Caritas italiana a 3 anni dall’inizio della guerra: CLICCA QUI
Enrico Vendrame