Caritas Tarvisina: 50 anni di cammino insieme - CARITAS TARVISINA

Caritas Tarvisina: 50 anni di cammino insieme

“Mettere al centro dell’attenzione la testimonianza della carità che come comunità cristiana siamo chiamati a dare

I 50 anni di Caritas Tarvisina invitano a far memoria di una storia di Chiesa custodita e accompagnata dalla grazia dello Spirito Santo. È una storia che suscita sentimenti di gratitudine per la fedeltà di Dio, di coraggio per essere Chiesa in uscita in ogni circostanza, di speranza per trasmettere la consapevolezza che l’Amore vince sempre. Si celebrano i 50 anni con il desiderio di continuare ad essere strumenti semplici e veri per dare continuità al Vangelo della Carità.

Era il 25 gennaio 1973 quando, nell’ambito dell’aggiornamento postconciliare, veniva istituita in Diocesi la Caritas Tarvisina, l’organismo pastorale che, come recita l’art. 1 del suo Statuto, ha lo scopo di «promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica». Dunque la Caritas non è un ente benefico a ispirazione cattolica, ma un “pezzo” della comunità cristiana di cui non si può fare a meno, perché senza testimonianza della carità non vi è Chiesa. In questa luce, celebrare il cinquantesimo anniversario della Caritas non può esaurirsi nel tessere le lodi di una istituzione particolarmente benemerita. Richiede piuttosto di mettere al centro dell’attenzione la testimonianza della carità che come comunità cristiana siamo chiamati a dare, interrogarci su come renderla sempre «consona ai tempi e ai bisogni», ma soprattutto prendere consapevolezza di come la carità ci pungoli a mettere in discussione le forme del nostro essere Chiesa; proprio su questo punto si focalizza l’imminente percorso sinodale italiano, che si intreccia con quello che papa Francesco ha indetto a livello universale.

Il punto di partenza della dinamica della carità, e quindi dell’azione pastorale che punta a incarnarla, non può che essere l’ascolto. Non è certo un caso che la struttura di base della Caritas, quella diffusa a livello più capillare sul territorio, si chiami “centro d’ascolto”. L’ascolto della realtà, sociale ed ecclesiale, e la luce che proviene dalla contemplazione del mistero possono aprire processi di discernimento in vista di scelte concrete. Solo una carità capace di discernimento può mantenere costantemente l’equilibrio tra l’urgenza dell’azione in risposta ai bisogni e la spinta a cercare la maggior efficacia, andando a incidere sulle cause e non solo sui sintomi.

Come abbiamo visto, lo Statuto della Caritas ne evidenzia la «funzione pedagogica», che deve essere «prevalente» su quella puramente operativa. Oggi pare stimolante provare a interpretare questa indicazione ricorrendo alla categoria dell’accompagnamento. Pensando all’ambito della testimonianza della carità, si evidenziano tre direttrici su cui si gioca la dimensione dell’accompagnamento.

La prima, a cui viene spontaneo pensare, è quella indicata dall’espressione tecnica di “presa in carico” di coloro che bussano alla porta cercando sostegno. Nei loro confronti siamo invitati ad agire nella logica dei quattro verbi che papa Francesco ci propone di vivere riguardo ai migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Per farlo servono capacità di ascolto, competenza, finezza di intuito e creatività, in modo da strutturare percorsi che facciano leva sulle capacità delle persone per renderle sempre più autonome: l’accompagnatore lavora per rendersi progressivamente inutile e non per trattenere le persone nella dipendenza. Soprattutto è fondamentale che quanti concretamente portano avanti questo accompagnamento siano consapevoli di farlo in nome della comunità, di cui percepiscono il sostegno e che rendono presente con la loro azione a fianco dei poveri e degli emarginati.

Al sostegno nel cammino personale di crescita nell’autonomia si affianca la seconda direttrice, quella dell’accompagnamento verso il riconoscimento pubblico delle istanze dei più poveri, e quindi della loro dignità di cittadini e della loro capacità di dare un contributo al bene comune attraverso la domanda di giustizia che smaschera la “inequità” delle strutture sociali in cui tutti viviamo. Si tratta di fare da cassa di risonanza, non di parlare al loro posto: ai poveri va prestata la voce, non le parole!

L’ultima direttrice è l’accompagnamento della comunità all’incontro con i poveri. Nessuna comunità ecclesiale può farne a meno, poiché solo i poveri possono svelare un volto di Cristo che altrimenti resta sconosciuto. Papa Francesco è molto chiaro a riguardo: «Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (Evangelii gaudium, n. 198).

Don Davide Schiavon

24 gennaio 2023


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