“Le persone fragili e vulnerabili, i poveri, sono sulla nostra stessa barca e non possono essere lasciati soli”
In questi giorni è stato pubblicato su un giornale locale un articolo che metteva in risalto come la presenza dei senza dimora costituisca, per il centro della città di Treviso, motivo di degrado. Il testo riportava le lamentele dei residenti e l’appello di alcuni consiglieri al Sindaco, al fine di provvedere, trovando una soluzione per la salvaguardia del decoro e la tutela della quiete pubblica. Ciò che mi ha colpito profondamente, e che mi spinge a dare voce a queste persone che non ce l’hanno, è l’idea di fondo che sta sotto a queste segnalazioni.
Il senza dimora, e più in generale il povero, è considerato sempre un problema da risolvere e facilmente da poter scaricare a qualcun altro. La sua dignità, la sua storia, il suo nome non conta. Se inquina la visuale, se infastidisce l’orecchio va rimosso perché svilisce il decoro. Il povero è considerato alla stregua di un rifiuto e come tale va trattato. La stessa parola degrado, nel suo significato originale si applica all’ambiente, alle strutture non alle persone. È evidente che i senza dimora, i loro bivacchi sono concretamente un colpo allo stomaco per gli occhi di molti.
Credo sia necessario però non fermarsi al solo vedere, ma avere il coraggio di osare di più, di andare oltre. È necessaria una risposta comunitaria, condivisa ed inclusiva. Le persone fragili e vulnerabili, i poveri, sono sulla nostra stessa barca e non possono essere lasciati soli. Non si può neanche continuare a trovare risposte scaricando tutto solo sull’amministrazione, sulla Caritas e tutte le altre realtà che tendono la mano a queste persone in difficoltà. Sia chiaro che ciò non significa avvallare azioni e comportamenti non rispettosi dei luoghi e delle persone. È necessario, però, partire da una angolatura diversa. Siamo chiamati ad interrogarci avendo uno sguardo capace di ascoltare il passato, di osservare il presente e di progettare il futuro. È fondamentale che ci chiediamo come mai queste persone sono finite in strada, quale è la loro storia. Ancor prima di scrutare i loro bisogno, siamo chiamati a conoscere chi sono, a riconoscerli nella loro dignità di persone. Siamo invitati a dare cittadinanza ai poveri dentro le nostre relazioni, dentro i nostri luoghi, dentro la nostra vita: questa è la strada dell’inclusione. Non possiamo sorvolare sul passato di queste persone, non possiamo continuare a vederle solo come numeri di statistiche, come capitolo di spesa, come problema da risolvere e possibilmente da rimuovere.
In secondo luogo siamo chiamati ad osservare il presente di queste persone. Amministrazione comunale, associazioni e Caritas nel silenzio quotidiano (365 giorni all’anno) cercano di vivere una prossimità e di prendersi cura di queste persone. Molti si adoperano perché i poveri non siano inghiottiti dall’indifferenza. È un presente, impastato di generosità e sofferenza, che non è incrociato dallo sguardo della maggioranza della popolazione. È un presente che non si vuol vedere e che volentieri si delega ai soggetti sopra indicati. Non è facile riconoscere, accogliere e farsi prossimo al povero quando ci si barrica dietro ai bastioni dell’individualismo. Si punta il dito sul “degrado” e sul decoro ferito in città dai senza dimora, ma non si fa tanta fatica a guardare il degrado sociale, economico, morale che si cela silenzioso dietro alla porta di molte case, aziende ed istituzioni.
Infine siamo chiamati a progettare, io oserei dire a sognare, il futuro. È molto interessante la proposta di riqualificare il centro. È necessario, però, che possa essere frutto di un processo di condivisione che desidera una città a misura d’uomo, di ogni uomo dove respirare il gusto del Bello, del Buono e del Vero. Una città non sarà mai bella e decorosa se vive nelle paure di mostrare le sue ferite e continua a viverle come problema da evitare. Io auspico che ci possa essere una riqualificazione del centro storico e di tutta la nostra bellissima città, dove il primo decoro da garantire è la dignità di ogni persona, è l’inclusione di tutti. Mi permetto di sottolineare che il degrado più grave da affrontare è quello che da tanto tempo affligge i nostri cuori e i nostri pensieri. È il momento di cambiare passo, di farlo insieme, di non lasciare indietro nessuno. Come Caritas, espressione della Chiesa di Treviso, desideriamo che questo avvenga e lanciamo anche noi il nostro appello alle istituzioni, perché la nostra città sia riqualificata secondo la misura di ogni uomo. Noi ci siamo e ci saremo, pronti a stringere alleanze di bene a favore di tutti …. la nostra porta è già aperta…
13 aprile 2021