Divenire brecce di speranza e di amore - CARITAS TARVISINA

Divenire brecce di speranza e di amore

“Siamo invitati a non scoraggiarci dinanzi alle difficoltà che incontriamo. Siamo chiamati a guardare oltre l’ostacolo”

Tutti stiamo sperimentando, in maniera diretta o indiretta, la fatica di questo tempo che si protrae da quasi due anni. Alcuni di noi sono stati visitati più da vicino dal dolore, ma tutti stiamo soffrendo – a livello fisico o psicologico – per le gravi ricadute che la dura esperienza del Covid-19 sta avendo sulla quotidianità. Possiamo chiederci chi di noi non abbia provato l’esperienza delle “tenebre”, che è esperienza di sofferenza. Nessuno è immune da essa ed anzi proprio per questo bisogna essere consapevoli che ognuno di noi, chi più e chi meno, vive l’esperienza del dolore e porta il suo “pezzo di croce”; occorre, infatti, rifuggire dalla frequente tentazione di credere che gli altri non abbiano problemi o che i nostri siano più importanti e seri di quelli degli altri. Dinanzi alla sofferenza che attanaglia l’umanità sto scoprendo sempre più che siamo chiamati ad abbattere il muro dell’indifferenza, a lottare insieme. Ho trovato in questo tempo, particolarmente illuminanti le parole del vescovo anglicano Desmond Tutu, che è mancato poco tempo fa, “Se davanti a un’ingiustizia sei neutrale, hai scelto di stare dalla parte dell’oppressore.” E altrettanto prezioso ho trovato l’episodio evangelico dei quattro amici che portano il loro amico paralitico davanti a Gesù.

Per raggiungere Gesù occorre uscire dalla “folla”, che è una massa di individui chiusi in sé e costituisce come una siepe attorno a Lui. L’ascolto della parola di Gesù, cioè del vangelo, ci fa fare il passaggio da individui a persone, da folla a popolo, per diventare Chiesa, popolo di Dio. “Scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava”: Gesù sta al centro della casa; per incontrarlo, anche oggi, occorre aprire e leggere il suo vangelo e, andando oltre la sua lettura, va penetrato con la fede. “Calarono”: si entra solo calati “dall’alto” mediante la fede dei fratelli. S. Paolo dice: “nessuno dice che Gesù è il Signore se non grazie allo Spirito Santo”. “Calarono la barella su cui era adagiato il paralitico”: la “barella” è nominata ben quattro volte, vuol dire che anche questo è importante. Il letto o la “barella” per un sano è il luogo del riposo, per un malato è il luogo di sofferenza, quasi una prigione. Le quattro persone espongono l’amico sventurato all’attenzione pubblica, che si sa, è sempre indiscreta e sfidano il timore che tutto ciò possa essere fatto invano e diventare ridicolo. La loro fede è veramente grande e coraggiosa, come sempre dev’essere. È una fede che si espone, che rompe gli schemi e spiazza. Nella semplicità apre a strade creative, a vie nuove.

La carità, l’amore incondizionato di Gesù Risorto, spalanca nuovi orizzonti. Anche noi, come i quattro amici del paralitico, siamo invitati a non scoraggiarci dinanzi alle difficoltà che incontriamo. Siamo chiamati a guardare oltre l’ostacolo, a non mollare mai, non solo perché possiamo far conto sulla nostra tenacia e resilienza, ma soprattutto perché il Signore è sempre con noi e ci accompagna con la guida del suo Santo Spirito. Dinanzi alla paura del giudizio, agli ostacoli posti da una mentalità fossilizzata sul “si è fatto sempre così”, incapace di sognare, di osare, di trovare il coraggio di sperare contro ogni speranza, è necessario che troviamo nuove vie. Dobbiamo arrampicarci per scoperchiare il tetto delle nostre sicurezze umane che ci portano, anche all’interno della vita ecclesiale, a tenere a distanza di sicurezza i poveri e quanti non rispondono ai canoni di una presunta e tanto sbandierata ortodossia. Come la folla rischiamo di diventare, noi stessi, una sorta di muro che invece di custodire, diventa elemento di divisione e filtro insuperabile. In questo tempo ci è offerta la possibilità di aprire brecce nella mentalità dell’indifferenza e della neutralità. Siamo chiamati a metterci in gioco, senza timore di perdere la faccia. Ogni uomo, anche e soprattutto i più poveri e fragili, ha il diritto di essere orientato e condotto a Gesù. Quella barella posta davanti a Gesù ci dice, in maniera inequivocabile, che a tutti è offerta la possibilità di lasciarsi guarire da quelle paralisi profonde che inaridiscono il cuore e spengono la vita. Ognuno incontra la carità e la salvezza offerta da Cristo attraverso percorsi singolari ed unici. Qualcuno necessita di essere accompagnato e sostenuto. Non è una vergogna, non è una colpa, ma è una opportunità per accorciare le distanze e ritrovare la cifra di una fraternità che ci unisce e che ci fa scoprire che siamo tutti pari in dignità. Molte sono le paralisi che oggi atrofizzano le relazioni e sbiadiscono il volto della comunità. Tante persone rimangono imprigionate, inchiodate ai loro bisogni e ai loro problemi. Non possiamo più rimanere sordi dinanzi al loro grido, dinanzi alla loro indifferenza. Non è più possibile girarci dall’altra parte. La chiesa non può più ammiccare con le logiche del potere, ma è chiamata a vivere il Vangelo, tracciando nuovi solchi di speranza, con la consapevolezza che le paralisi dell’esistenza si superano non con il bastone, ma la carezza di Dio che passa attraverso noi.

18 gennaio 2022


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