Il povero non ci chiede di dargli qualcosa, ma di mettere in gioco la propria esistenza, di donare la vita
Servire Carità onorando la sacralità della vita di ogni uomo non è una questione riconducibile a qualche buona azione, né a qualche forma significativa di elemosina per tacitare la propria coscienza. La carità non può essere ridotta ad un’opera da compiere, ma è uno stile di vita, è il modo con cui Dio sta in mezzo al suo popolo e con chiede a noi suoi discepoli di continuare a tracciare storia di salvezza. L’amore verso il prossimo non è un comandamento da eseguire, ma svela la nostra verità, dice in profondità il DNA di ogni uomo. La scelta preferenziale dei poveri non è una elaborazione né sociologica, né teologica della Chiesa, ma è costitutivo della sua natura, della sua identità. Sono significative a tale proposito le parole di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium: «Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.” (EG. 179) Su questa linea comprendiamo allora che i poveri hanno un ruolo centrale nella storia della salvezza, non sono qualcosa di accessorio e non possiamo relazionarci loro in modo superficiale e banale. Non si possono liquidare i poveri dalla nostra vita, lasciando cadere qualche piccola e superflua briciola dalla tavola imbandita delle nostre ricchezze. Rimanendo in ascolto di Papa Francesco è bene tenere presente che: “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa». Questa opzione – insegnava Benedetto XVI – «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà». Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro” (EG 198). Non ci si può limitare a fare solo qualcosa per i poveri, ma è necessario convertirsi e camminare per costruire relazioni autentiche e libere con loro.
Il povero non ci chiede di dargli qualcosa, ma di mettere in gioco la propria esistenza, di donare la vita. La povertà è una parola forte che non ci chiede né tanto, né poco, ma tutto. Siamo chiamati a spenderci tutti per amore, con il desiderio che il nostro dono diventi alimento fertile e fecondo per la vita degli altri oltre che per la nostra. La vita è un dono e come tale va vissuta, dunque va donata. Non si può vivere con il freno a mano tirato, non si può ingabbiare la forza dirompente della carità in logiche di convenienza o in calcoli strategici. Il dono d’amore, dobbiamo ricordarcelo sempre, passa attraverso la croce. Non vi è amore vero se non attraverso anche il dono delle lacrime. Dinanzi al fratello in difficoltà non contano i nostri calcoli, le nostre competenze, conta solo la forza ed il coraggio di stare dentro quella croce, senza giudizio e solo con amore. Donare la vita non significa buttarla via, non significa farne spreco, ma vuol dire consegnarla alle mani di Dio perché Lui la faccia fiorire secondo il suo cuore e attraverso vie che mai avremo pensato.
Ed è molto interessante che nella parabola del buon samaritano questi versi sulle ferite di quell’uomo calpestato il suo olio ed il suo vino. Versa come farmaco quello che di prezioso aveva, quello che serviva per altri scopi. Non fa calcoli, non quantifica la perdita economica, perché ciò che è più importante è che quell’uomo abbia salva la vita. La vita, la salvezza dell’uomo vale molto di più di tutto il resto. In quel versare l’olio ed il vino, in un certo qual modo, è già contenuto un messaggio di speranza e resurrezione. L’olio ed il vino erano merce molto preziosa, ma avevano anche un significato simbolico molto bello. L’olio è simbolo della consacrazione dei re, dei profeti, degli atleti. Ricorda in un certo qual modo la sacralità della vita umana e la sua intima connessione con il divino. Versare l’olio su quel corpo sfigurato dal dolore e dalle violenze subite, significa riconoscere al di là di ogni scempio il valore sacro ed intoccabile della vita umana. Nel versare l’olio su quelle tremende ferite, il buon samaritano, e concretamente ciascuno di noi, è chiamato ad inginocchiarsi dinanzi alla regalità e alla sacralità della vita, di ogni vita. Poi versa il vino, che è il segno della gioia e della festa. È la gioia per una vita calpestata che viene recuperata e salvata dall’amore di Dio. È la gioia di una fraternità che si ricompone anche quando attorno continua a persistere tanta indifferenza. È la gioia di Dio, che si commuove fino alle lacrime quando sperimenta che un “suo figlio che era morto, è ritornato in vita”. È la festa, è la gioia perché molti uomini e molte donne hanno ripreso il loro cammino verso casa, verso quella terra promessa che si chiama comunione, pace, libertà, carità. Il vino è segno della gioia e del dono gratuito di Gesù in croce. È meraviglioso poter registrare nel proprio cuore quella conversione che ci porta ad accostarci a chi è ferito con compassione e gratuità. Si tratta di versare un vino prezioso senza chiedere nulla in cambio, perché la salvezza della vita è il dono più grande che ricolma di luce e gioia ogni orizzonte. Versare olio e vino sulle ferite dei fratelli significa credere alla resurrezione, credere che nulla è impossibile a Dio e che una nuova umanità sta crescendo piano, piano.
Don Davide Schiavon
3 ottobre 2023