Responsabili, non rassegnati - CARITAS TARVISINA

Responsabili, non rassegnati

“Ogni momento è una opportunità per avviare un processo di svolta, non lasciamoci risucchiare dalla rassegnazione”

Il tempo che stiamo vivendo ci interpella e ci chiede di ritrovare il volto di una comunità che non lascia indietro nessuno e che si fa carica di chi è più fragile e vulnerabile. Purtroppo questi appelli rischiano di cadere nel vuoto. Senza rendercene conto siamo diventati fortemente dipendenti da logiche individualiste. Il primato del tornaconto e del benessere individuale sta pian piano soffocando ogni anelito, ogni desiderio di fraternità e di solidarietà. Il volto della comunità si sta sempre più sbiadendo dinanzi al tornado impetuoso dell’individualismo. Questa situazione fa sentire tutta la propria pesantezza e chi è più vulnerabile rischia di essere schiacciato da un meccanismo che ha scelto di privilegiare il benessere di pochi, a scapito anche del rispetto dei diritti di molti. Ci siamo persi e non riusciamo più a trovare la strada per mettere al centro il “bene della città” (politica). Siamo disorientati e ci arrabattiamo, cercando di salvaguardare la roccaforte dei propri interessi e di stare lontano dai problemi degli altri. Viviamo e promuoviamo la globalizzazione che porta a soddisfare i propri bisogni, mentre in modo celere fuggiamo quella che ci chiede di farci carico delle problematiche e delle sofferenze che colpiscono gran parte dell’umanità.

È facile dinanzi a questo senario cadere nello sconforto o cercare colpevoli. Spesso ci rifugiamo in sterili lamentele e vaghe accuse, facciamo fatica ad assumerci la responsabilità di quel pezzettino che anche noi, per vari motivi, abbiamo tralasciato. Non si tratta di accusare nessuno, né di suscitare oscuri sensi di colpa. È, però, evidente che bisogna cambiare registro. L’esasperazione dell’individualismo non solo ha indebolito i legami e svuotato le relazioni, ma ci sta portando verso la distruzione, verso la morte. Personalmente non condivido la litigiosità che spesso inquina il mondo delle relazioni e sovente anche il dibattito politico. Credo che vivere il servizio della politica sia oggi un impegno molto oneroso. Chiede il sostegno di una cittadinanza, che con onestà intellettuale non si rifugia nell’esercizio della delega, ma vive una partecipazione generativa. Abita il presente facendo memoria del passato e si apre al futuro con desideri di bene per ogni uomo.

Il momento che stiamo vivendo è complesso, ci chiede di stare e non si possono inventare risposte ad effetto o rimanere paralizzati da un senso di impotenza. Due esempi. In questi giorni dinanzi al caro energia, è stata avanzata la proposta di fare la settimana corta a scuola. Senza soffermarmi sui disagi che questa scelta comporterebbe alle famiglie, mi chiedo se si è tenuto in conto, prima di tutto, il diritto all’istruzioni di bambini e ragazzi. È evidente che il problema del caro energetico è dovuto a scelte (speculazioni, bolle finanziare, guerre, …) che stanno spingendo l’umanità verso orizzonti oscuri. Non è forse qui, che come adulti dobbiamo assumerci la responsabilità di un cambiamento. Perché non vogliamo mettere mano a quelle dinamiche e logiche di potere che imprigionano l’umanità e la tengono legata alle catene della paura? Perché non abbandoniamo la strada cattiva e ritroviamo quella buona? Perché sacrifichiamo i diritti dei bambini e la vita delle famiglie, senza avere il coraggio di mettere in discussione gli interessi dei potenti? Perché ci abbandoniamo alla rassegnazione e soffochiamo la nostra attitudine a sognare un mondo migliore?

Lo scorso fine settimana, in Casa della Carità, abbiamo dovuto gestire la fatica di una persona con evidenti disagi psichici e da più di un mese ci troviamo ad affrontare le problematiche di una sessantina di profughi pakistani di cui nessuno si sta interessando. Se hai un problema di salute mentale, se non rientri dentro i parametri della burocrazia, se la tua fatica chiede un lavoro di comunità, di rete …. allora non sei figlio di nessuno. La tua vita, la tua storia diventa un caso difficile a cui nessuno sa dare risposta. Inizia così il valzer dello scarico delle responsabilità. E alla fine quello che ad una persona spetta per giustizia, viene dato per carità o più semplicemente per buon cuore. È chiaro che questa modalità non può reggere e non è rispettosa della dignità delle persone. La fatica di una persona ci interpella come comunità e non può essere continuamente scaricata a chi, in modo arbitrario e fuorviante è stato designato come “ultima spiaggia” per l’umanità alla deriva. Credo sia necessario fermarsi e farci delle domande di senso profonde. Dove stiamo andando? Dove vogliamo andare? Quale umanità desideriamo essere?

Dinanzi agli episodi citati, ma anche ai molti altri che contrassegnano la storia di tutti i giorni, provo amarezza, ma non perdo e non dobbiamo perdere la forza di lottare, di agire, di sognare. Ogni momento è una opportunità per avviare un processo di svolta, non lasciamoci risucchiare dalla rassegnazione. Dinanzi al rischio di questa deriva, prendiamo sul serio gli appelli che la storia di ogni giorno ci rivolge e prendiamo sul serio anche l’opportunità del 25 settembre. Non è vero che nulla cambierà. Come diceva Gandhi cerchiamo di essere noi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo.

 

Don Davide Schiavon

6 settembre 2022


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