“La pandemia ci ha fatto toccare con mano le ferite laceranti che inchiodano i più deboli ad una vita disumana e i più ricchi alla bramosia e alla superbia del potere, che riempie di cose l’esistenza, ma lascia nel cuore un tragico vuoto di senso”
La furia della tempesta si è smorzata, ma le onde del mare stanno ancora sballottando la barca dell’umanità. La pandemia ha scoperchiato una situazione di fragilità e vulnerabilità che per tanto tempo non si è voluto vedere e ascoltare. Il mito dell’onnipotenza e la smania del potere hanno accecato l’uomo, lo hanno reso incapace di riconoscere e vivere la fraternità che unisce il genere umano. Si è messo al primo posto il bene individuale. Piano piano, in maniera subdola, le logiche di potere ci hanno avvelenato, ci hanno portato a metabolizzare che il fine giustifica i mezzi. Il potere, il successo, la ricchezza sono diventati obiettivi da raggiungere a qualsiasi prezzo, a costo della vita stessa, soprattutto dei più poveri. Questo veleno ci ha imprigionati nelle logiche dell’indifferenza e dello scarto. La dignità delle persone è calpestata e il più delle volte questo non desta indignazione e ribellione. La pandemia ci ha fatto toccare con mano le ferite laceranti che inchiodano i più deboli ad una vita disumana e i più ricchi alla bramosia e alla superbia del potere, che riempie di cose l’esistenza, ma lascia nel cuore un tragico vuoto di senso.
Questo è il tempo di un profondo cambiamento. Molte persone si trascinano stancamente e senza speranza. Patiscono l’abbandono, non si sentono figlie di nessuno. Hanno smesso di sognare, di desiderare una vita migliore, non hanno più la forza di sperare e si lasciano inghiottire dal vortice della sfiducia e dalle tenebre delle loro paure. Siamo chiamati ad abitare questa periferia esistenziale, siamo chiamati a stare, a non fuggire. Nel cuore della notte, abbiamo il compito di riaccendere la speranza che il Signore ha riversato nei nostri cuori. Questa è la prima forma di carità che ci è chiesto di vivere in quest’oggi della vita. Sotto la guida dello Spirito Santo, abbiamo l’impegnativo ma meraviglioso mandato di riscoprire insieme la bellezza dell’umano, di cogliere che la pienezza del cuore è vivere fino in fondo l’umano. Siamo chiamati ad alzare lo sguardo, a seguire la stella, a riaccendere il desiderio come ci ha ricordato papa Francesco nella sua omelia nel giorno dell’Epifania:
Desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. Desiderare è accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. È come una tela bianca che ha bisogno di ricevere colore. Proprio un grande pittore, Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle. Possiamo dire, senza esagerare, che noi siamo ciò che desideriamo. Perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene. «La nostra vita – diceva Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio» (Trattati sulla prima Lettera di Giovanni, IV, 6).
A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti. Ci siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Nostalgia di Dio. Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo (cfr Mt 6,25), lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel cuore. Perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza, all’indifferenza.
Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione, si rinnova il desiderio. Il desiderio ti porta all’adorazione e l’adorazione ti fa rinnovare il desiderio. Perché il desiderio di Dio cresce solo stando davanti a Dio. Perché solo Gesù risana i desideri. Da che cosa? Li risana dalla dittatura dei bisogni. Il cuore, infatti, si ammala quando i desideri coincidono solo con i bisogni. Dio, invece, eleva i desideri e li purifica, li guarisce, risanandoli dall’egoismo e aprendoci all’amore per Lui e per i fratelli. Per questo non dimentichiamo l’Adorazione, la preghiera di adorazione, che non è tanto comune tra noi: adorare, in silenzio.
E nell’andare così, ogni giorno, avremo la certezza, come i magi, che anche nelle notti più oscure brilla una stella. È la stella del Signore, che viene a prendersi cura della nostra fragile umanità. Mettiamoci in cammino verso di Lui. Non diamo all’apatia e alla rassegnazione il potere di inchiodarci nella tristezza di una vita piatta. Prendiamo l’inquietudine dello Spirito, cuori inquieti. Il mondo attende dai credenti uno slancio rinnovato verso il Cielo. Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi. E come cercatori inquieti, restiamo aperti alle sorprese di Dio. Fratelli e sorelle, sogniamo, cerchiamo, adoriamo.
7 gennaio 2022