Vivere da uomini - CARITAS TARVISINA

Vivere da uomini

“Aprirsi al mondo significa mettersi in cammino per cercare una verità che sempre ci precede e sorprende, vuol dire impegnarsi a dare voce a chi non ce l’ha mettendosi dalla parte dei più deboli, significa riconoscere che non si può dare per carità quello che a ciascuno spetta per giustizia. Il Vangelo ci invita a disegnare nuovi stili di vita capaci di dire l’unicità dell’uomo e la bellezza della comunione”

Siamo dentro un tempo di continue emergenze che ci incalzano con una intensità che non ci lascia tregua, che non ci lascia respiro. La pandemia, le guerre, la crisi energetica, la crisi ambientale, di cui la siccità e lo scioglimento dei ghiacciai sono solo punte di un iceberg contro il quale l’umanità si sta schiantando. Dinanzi a tutto questo possiamo cadere nello sconforto, giocare a scaricare le responsabilità (come purtroppo anche grande parte del mondo politico fa), oppure possiamo cambiare sguardo e rimboccarci le maniche. Possiamo partire da piccole azioni che garantiscono i diritti e la giustizia per tutti. Per questo è necessario maturare una visione dell’uomo a 360°, senza focalizzarsi sulla problematica emergenziale del momento. Il dibattito di questi giorni sulla cittadinanza ai bambini stranieri in Italia non è fuori tempo, ma può essere l’inizio di un cambio di paradigma, che ci rende capaci di abitare le trasformazioni di quest’epoca. È una questione che ha che fare con tutto il resto, perché è espressione di una visione, di un percorso.  Siamo dunque chiamati, tutti insieme, con coraggio e fiducia ad abitare e governare questo cambiamento.

In un mondo segnato da queste contraddizioni non è facile trovare una via di uscita, non è così scontato ed immediato che tutti trovino dei punti in comune, dei punti di convergenza. Il Vangelo ci dice che il Signore ha donato una parola nuova all’umanità e soprattutto ai piccoli. Questa parola ci dice di aprire il nostro cuore al mondo, di farlo entrare a casa nostra. Si tratta di cogliere che non ci sarà mai vera felicità sulla terra fino a quando anche uno solo degli esseri umani patirà lo scarto di non essere accolto e amato come fratello. È necessaria un’apertura al mondo che squarci la crosta della nostra indifferenza e superficialità. Aprirsi al mondo significa mettersi in cammino per cercare una verità che sempre ci precede e sorprende, vuol dire impegnarsi a dare voce a chi non ce l’ha mettendosi dalla parte dei più deboli, significa riconoscere che non si può dare per carità quello che a ciascuno spetta per giustizia. Il Vangelo ci invita a disegnare nuovi stili di vita capaci di dire l’unicità dell’uomo e la bellezza della comunione. Amare questo mondo ed impegnarsi, giorno dopo giorno, per comporre il grande mosaico della fraternità è una sfida sempre nuova, nella quale però il Signore non ci lascia mai soli. Si tratta, allora in definitiva, di promuovere una cultura della giustizia, dove vengono valorizzate le differenze e accorciate le distanze. È necessario affermare il valore inestimabile della dignità di ciascuno e cogliere che ognuno può brillare di unicità e bellezza solo dentro un cammino di comunione con gli altri. Non possiamo arretrare dinanzi al valore dell’uomo, ad una giustizia che riconosca a ciascuno la sua unicità e la sua bellezza. È importante allora che impariamo a riconoscere quella scintilla divina che è dentro ciascun uomo, che diventiamo capace di valorizzare il bene che è presente in ciascuno. Non c’è cuore, non c’è territorio così povero da non esprimere la possibilità di generare vita e speranza. Ci vuole pazienza, ma, prima o poi, i frutti verranno e saranno di molto superiori alle nostre aspettative.

Molte volte cadiamo nel facile tranello di ritenere che le difficoltà sono superiori alle risorse, che il cammino dell’esistenza è destinato ad arenarsi nelle sabbie mobili della sopravvivenza, rinunciando ad una vita piena. È una modalità che manifesta difficoltà concrete a piantare radici, a dimorare, a camminare sul serio con l’uomo. Si resta sul piano delle idee, ma si perde il gusto della vita. Così facendo si “alberga” in un territorio, magari facendo anche delle belle esperienze, ma non lo si abita. Non si riesce a vivere quella sapienza dei piccoli che, già nel loro respiro, sono capaci di condividere le gioie e i dolori, le delusioni e i grandi sogni dell’uomo che vive a loro fianco, che incrociano su svariati sentieri della vita.

Ogni territorio ha le sue peculiarità, è contrassegnato da risorse e da limiti. È fondamentale però la modalità con cui sappiamo entrare in relazione. È necessario togliersi i calzari dai piedi perché quella che incontriamo e calpestiamo è comunque sempre una storia sacra, perché è vita. Si tratta di accompagnare ed abitare il territorio o i territori con grande umiltà e profondo rispetto. È fondamentale prima di tutto fare silenzio, rimanere in ascolto. È necessario lasciarsi prendere per mano, lasciarsi condurre dove lo Spirito soffia, dove l’umanità chiama, anche se questo chiede di abbandonare i propri schemi, di mettere in secondo piano le proprie idee. Abitare e accompagnare una realtà significa lasciarla entrare nel proprio cuore per arrivare a maturare quell’I care, così caro a don Milani, che in concreto significa ci sto, cammino con te e andiamo insieme incontro al mistero infinito che racchiude la promessa di Dio. In questa prospettiva non ci sarà nessun territorio, nessuna terra che potrà essere detta ancora abbandonata, spogliata … perché Dio la ama attraverso ciascuno di noi. E questo vale anche per madre terra, la nostra casa comune, che troppo spesso abbiamo dimenticato e violentato. Accanto al silenzio è necessario accostare i territori attraverso un linguaggio che parli al cuore, che parli alla vita. Dobbiamo ritrovare le coordinate di parole e azioni buone che alimentino il desiderio di un bene comune. Si tratta, attraverso delle scelte concrete, di incarnare la scelta di un Dio che si è fatto uomo ed è venuto nel mondo non per condannarlo, ma per salvarlo, per amarlo fino in fondo. Contro le logiche dell’indifferenza e dello scarto è necessario promuovere una cultura globale della solidarietà dove viene sempre onorato e valorizzato il valore dell’uomo, della persona con la sua storia. Una cultura della solidarietà deve poggiare sul riconoscere che l’uomo è un mistero, un punto interrogativo sulla soglia dell’eternità, un impasto meraviglioso tra fragilità (terra) e divinità (alito di Dio). Accompagnare e abitare il territorio con questa prospettiva è camminare seguendo le tracce che Dio ci ha donato per essere nella gioia e nella libertà.

Don Davide Schiavon

5 luglio 2022


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